Le idee delle dittature sono convenzionali. Molto meglio la borghesia capitalista

Le idee delle dittature sono convenzionali. Molto meglio la borghesia capitalista

Sono gratificato dal fatto che le mie considerazioni sulla letteratura fascista, esposte in The Criterion dello scorso dicembre, abbiano fornito l’occasione per gli articoli molto validi sul fascismo e sul comunismo di J. S. Barnes e A. L. Rowse, riportati nel numero di aprile. La mia sola intenzione era quella di avanzare degli interrogativi; ma trovo che Barnes e Rowse me ne abbiano suggeriti di nuovi, e di più acuti, spero. Ritengo infatti che le domande più interessanti siano quelle che è possibile rivolgere a entrambi i partiti o scuole di pensiero, perché la questione più stimolante riguarda proprio ciò che le due teorie politiche hanno in comune. Tra l’esposizione delle due cause c’è un’ovvia differenza superficiale: Barnes, che è amico di messer Mussolini e direttore del Centro Internazionale di Studi sul Fascismo di Losanna, si esprime come un convinto apologeta del fascismo, mentre Rowse, come alcuni altri intellettuali studiosi del comunismo, parla piuttosto (se ben capisco) come un simpatizzante esegeta. Eppure, mentre si attribuisce a Mussolini l’affermazione che «il fascismo non è da esportare», i protagonisti del comunismo in Russia sembrano desiderosi di convertire il mondo intero alla dottrina di Mosca. Nonostante queste e altre contraddizioni, non sono affatto il primo ad osservare una familiare somiglianza tra fascismo e comunismo il maggiore Douglas, credo, ha già ha richiamato, tra gli altri, l’attenzione su tale aspetto: ma vale la pena ribadirlo. Una delle caratteristiche che le due dottrine hanno in comune è certamente la familiarità. Entrambe sono già state parzialmente assorbite dalla mente del popolo, cosicché, in senso intellettuale, non residua in esse nulla di sconvolgente; e poiché si è assistito a una tale, rapida interiorizzazione, si suppone abbiano una radice comune con ciò che già dimorava nelle menti popolari. Si tratta, in altre parole, di idee perfettamente convenzionali.

Quando l’uomo comune è terrorizzato da uno spauracchio come la dittatura fascista o comunista, non è la sua mente a essere intimorita. Può essere impaurito dall’idea che il fascismo possa interferire con il suo diritto di «azzuffarsi come vuole«, o che il comunismo possa confiscare i suoi risparmi, o semplicemente da una vaga prospettiva di proiettili volanti in strada. Se, invece, gli parlate del diritto divino dei sovrani o dei vantaggi di un’oligarchia ereditaria, vi risponderà o con un’aperta derisione e una sincera risata, o con la paziente gentilezza con cui si tratta un innocuo squilibrato. Tali idee sono, in quanto idee vere o false che siano rivoluzionarie; e un’idea autenticamente rivoluzionaria si può spesso intuire dall’ilarità che suscita. Il fascismo e il comunismo, a livello di idee, mi paiono totalmente sterili. Un’idea rivoluzionaria è un’idea che richiede una riorganizzazione del pensiero; fascismo o comunismo sono ora l’idea più naturale per l’uomo privo di pensiero. Questo è di per sé un indizio del fatto che le due teorie non sono che variazioni della stessa dottrina, e anche mere alterazioni dello stato attuale delle cose. Non c’è nulla di più rassicurante che continuare a pensare ciò che si è sempre pensato, e allo stesso tempo ipotizzare di teorizzare qualcosa di nuovo e audace: unisce il vantaggio della sicurezza e il gusto dell’avventura. L’uomo può credere quasi a tutto: la sua capacità di convincersi è illimitata. Ma ad una condizione: che le sue antiche credenze non vengano intaccate. (Bisogna distinguere tra ciò che crede e ciò che pensa di credere). Può accettare la fantasia più sfrenata, se non tocca le sue radicate convinzioni; ma respingere con cognizione di causa il più solido ragionamento, se scalfisce una di tali certezze. È facile credere che «le tesi di Einstein sono veritiere» perché non sconvolgono nulla: lo sconvolgimento ha preso forma nella mente dei fisici. La credulità è ovviamente irrilevante quanto a verità ed errore: mi sono limitato a sottolineare che né il fascismo né il comunismo risultano oggi sconvolgenti o rivoluzionari per la mente comune. (…)

Ciò che ritrovo sia nel fascismo che nel comunismo è una combinazione di affermazioni dagli entusiasmi non verificati. Può darsi che ogni teoria politica sia frutto di tale combinazione. Ma è compito del filosofo politico analizzare tali elementi e riconoscere l’irrazionalità della propria filosofia. Esattamente ciò che i filosofi politici non fanno mai. Barnes mi pare confonda gli elementi razionali e irrazionali del fascismo; e Rowse mi sembra che cerchi di isolare l’elemento razionale e ignorare quello irrazionale nel comunismo. Vero è che quest’ultimo osserva che i russi «sono una grande e prodigiosa nazione, e non si può non immaginare che una stirpe di centotrenta milioni di persone sarà un attore importante nella politica mondiale del futuro». Senza negare le immense doti della razza russa, non vedo perché un popolo dovrebbe risultare importante per la sua mole numerica, se non per una ragione di cui Rowse non fa menzione: che tutti gli altri vogliono commerciarvi (e guadagnarvi).

Molte riflessioni dei saggi di Barnes e Rowse le condivido sentitamente. Quando Rowse, ad esempio, parla del «carattere rivoluzionario della borghesia», non posso che esprimere il mio accordo: la borghesia è timida nel pensiero e rivoluzionaria nell’azione. Nulla è più rivoluzionario della biposto.

Cantavano allegramente i monaci di Cowley

Mentre Morris Bart passava in macchina

Ma vorrei sapere quanto contano i sortilegi verbali, in entrambe le dottrine. Mi pare che qualsiasi teoria politica possa essere analizzabile grosso modo in tre parti: dottrina economica, saggezza ed entusiasmo. E il teorico politico dovrebbe essere abbastanza onesto nel criticare la propria dottrina, con le dovute distinzioni; dovrebbe, per quanto possibile, isolare l’elemento irrazionale e denunciarlo apertamente. La maggior parte diffonde invece l’elemento emotivo attraverso la teoria, celandolo a se stessa e agli altri e divenendo serva, non padrona, delle parole. Ammettendo a se stessi la natura irrazionale del proprio entusiasmo, è possibile realizzare una sorta di continuità tra l’entusiasmo, la saggezza o conoscenza dell’umanità, e la rigorosa dottrina economica.

Non voglio dire che ogni teoria politica debba basarsi su una dottrina economica originale: può partire da premesse etiche o addirittura teologiche, ma deve avere a supporto una dottrina economica adeguata. Ciò che mi colpisce delle due teorie che sto criticando, e di molta teoria politica, è la confusione tra economia ed entusiasmo per le parole. Non sto nemmeno insinuando che il pensiero politico sia inaccessibile a chiunque non sia un economista, perché un mero sguardo al mondo degli economisti dissiperebbe tale fantasia. Ma sarebbe importante sapere dove iniziano e dove finiscono le cose. Il fattore davvero interessante del fascismo è il suo sindacalismo, la sua organizzazione dei lavoratori e la sua politica finanziaria, se ne possiede una. Ordine, Lealtà, realizzazione dell’individuo nella vita dello Stato sono parole di buon coinvolgimento e connessione, che riassumono la tendenza di un insieme di sentimenti, nella mente di chi le utilizza. Ma ciò che l’estraneo vorrebbe sapere è, innanzitutto, in cosa consista la differenza fra la teoria economica del fascismo e del comunismo. Barnes ci dice che «il fascismo sostituirebbe all’interpretazione contrattuale comunemente accettata dell’idea di popolo sovrano, l’idea della sovranità della macchina statale» un’idea, suppongo, comune sia al fascismo che al comunismo. Egli ammette, inoltre, che il fascismo non è «solo una rivolta contro il comunismo».

La minaccia del comunismo, che era opera dei non combattenti, fornì semplicemente le condizioni anarchiche che davano a Mussolini e agli ex combattenti l’opportunità di spazzare via il vecchio regime, che… aveva permesso alla società italiana di cadere in una condizione di concreta anarchia.

Da ciò si evince che il fascismo fu una rivolta contro la sola minaccia del comunismo, ma ancor più contro l’anarchia vera e propria. Non si può confondere comunismo con anarchia. La rivolta era contro l’anarchia, ma assunse una forma fascista anziché comunista: così la sua parola chiave divenne Nazionalismo anziché Internazionalismo.

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