Sergio Mattarella è figlio della guerra. È nato nel 1941 e a luglio compirà ottantatré anni. È un uomo che viene da un tempo lontano, con le radici nel vecchio secolo e un avvenire in apparenza dietro le spalle. La realtà è che chi ha vissuto tanto sa riconoscere l’orizzonte e vede con chiarezza quello che altri, con la testa a terra, si ostinano a ignorare. Il Presidente nel discorso di Capodanno ha segnato il confine che stiamo attraversando. È futuro prossimo, ma è già qui. L’intelligenza artificiale cresce, apprende, si espande, sviluppa capacità inattese e imponderabili. È accanto, sempre più radicata nella vita quotidiana. Non bisogna per forza sentirsi marxisti per riconoscere l’influenza profonda della tecnologia, in questo caso anche dei mezzi di produzione, nel modo di vedere, percepire, pensare della varia umanità. Mattarella con la sua voce calma getta sul tavolo della discussione politica la questione delle macchine intelligenti. Non è roba da poco. Attenzione, dice, stiamo nel bel mezzo di una rivoluzione umana. È un cambio di paradigma, più forte dell’aratro, del telaio meccanico, del vapore, dell’elettricità, della fabbrica fordista. È perfino più profondo della fissione nucleare o della grande ragnatela di dati che chiamiamo web. Non si possono prevedere le conseguenze. Non serve evocare il luddismo. Non si può neppure fare finta di nulla. «Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana». È questa la preoccupazione di Mattarella. Umano troppo umano. Non è nulla di apocalittico, ma con cui bisogna fare i conti. L’intelligenza artificiale cambia il lavoro, alcuni mestieri li integra, li rinnova, li inventa, altri li sostituisce, li divora e li battezza vecchi e perduti. Non è solo questo. Il capitalismo si trova di fronte a una serie di incognite, perché la variabile salario si fa incerta e per sostenere i consumi c’è chi anche dal lato dei produttori pensa a un modello statalista di reddito di cittadinanza universale. Ci potrebbe essere un salto di lato della tassazione, dall’umano alle macchine. È probabile che ogni individuo avrà molto più tempo libero, sembra un sogno ma potrebbe nascondere un incubo. Marx era ottimista e vedeva un’umanità libera dal lavoro e pronta a dedicarsi alle proprie passioni: dalla filosofia alla pesca. Il rischio è che le masse disoccupate si dedichino alla violenza di parte, come ai tempi di Milone e Clodio nella Roma di Cesare. La guerra tra bande tra opposte tifoserie. È quello che in fondo già fanno nei social. È quel rischio per la democrazia binaria e fondata sull’attimo per attimo di cui parla con timore lo stesso Mattarella. È una democrazia di rabbia, pancia e viscere. È una democrazia che implode in se stessa. Tutto questo avverrà domani, un qualsiasi domani.
La buona notizia è che in un’Italia dove si discute dei pandori della Ferragni, il presidente Mattarella non ha indicato il dito ma la luna.