Dallo Zar a Xi, le parole dei dittatori. Così riparte la sfida all’Occidente

Sfondare la "catena di isole": ecco perché la Cina vuole riprendere Taiwan

Il 2024 è unanimemente indicato dagli analisti come un anno decisivo per la sfida al nostro mondo da parte dell’Asse globale delle dittature guidato da Pechino e Mosca. Com’era prevedibile, si è aperto con discorsi sfidanti e minacciosi da parte dei leader di queste due potenze. Discorsi coerenti con i loro atti, che appunto portano avanti (è il caso della Russia con l’Ucraina) o minacciano (è quello della Cina nei confronti di Taiwan) la guerra contro Paesi che hanno liberamente scelto di non soggiacere alle loro zone d’influenza.

Il 31 dicembre, nel ventiquattresimo anniversario della sua ascesa a un potere che è ormai pressoché assoluto, Vladimir Putin si è rivolto ai suoi compatrioti con un messaggio televisivo fortemente condizionato dallo stato di guerra in cui ha trascinato la Russia ormai quasi due anni fa, anche se ha evitato di presentarsi, come l’anno scorso, in compagnia di militari in uniforme. Le sue parole, però, hanno presto richiamato alla dura realtà: una realtà che non tiene in alcun conto le proteste dei familiari dei soldati mandati a morire a decine di migliaia in Ucraina.

«Nessuno fermerà la Russia ha scandito Putin nessuno ci dividerà. I soldati al fronte sono i nostri eroi. Ammiriamo il vostro coraggio e siamo con voi». Messaggio chiarissimo: non c’è spazio per discussioni né lamentele, la guerra dovrà continuare a essere un dovere per l’intera nazione. Nessun ascolto verso persone come la moglie di un soldato mobilitato che a Natale era andata fino a Berdjansk sul Mar d’Azov nella speranza di rivedere il marito dopo mesi, ma solo per apprendere dai suoi compagni d’armi che lui era morto e che nessuno glielo aveva comunicato.

La donna aveva lanciato sui social un disperato messaggio di protesta: i nostri uomini muoiono al fronte per niente, bisogna reagire e rifiutarsi di partire. Ma per la retorica ufficiale del Cremlino questa parte della realtà nazionale semplicemente non esiste. Ieri, giorno di Capodanno, il presidente-dittatore ha ripreso la parola e ha ribadito un ambiguo concetto che i pacifisti occidentali preferiscono fingere di non sentire: «Vogliamo che la guerra in Ucraina finisca, ma non rinunciamo a nessun obiettivo». Il che significa che la guerra finirà solo con la vittoria russa, magari tra anni. Putin ha aggiunto che gli attacchi contro le città ucraine «si intensificheranno».

Anche Xi Jinping ha voluto chiarire che l’obiettivo di annettere Taiwan, con la forza se necessario, rimane una sua priorità. «La riunificazione avverrà sicuramente», ha detto il capo del regime comunista cinese senza dare riferimenti temporali. Un messaggio che è rivolto anche ai taiwanesi che il 13 gennaio eleggeranno un nuovo presidente: scegliere un indipendentista ci renderà solo più risoluti ad attaccarvi, meglio un uomo del compromesso (cioè della resa). Xi ha scambiato un caloroso messaggio di buon anno con «il buon amico Vladimir Putin», ma non si è dimenticato di inviare gli auguri anche a Joe Biden, che ha fatto lo stesso: il cauto processo di raffreddamento delle tensioni con Washington per il quale si era speso fino all’ultimo Henry Kissinger continua.

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