Caro Giampaolo,
non sbagli a darmi del tu e ti ringrazio. Ti risparmio dal farti gli auguri perché immagino che anche tu ne avrai abbastanza, dato che ce li scambiamo ormai da circa un mese. Io sono grato a chi non me li fa, evitandomi così il ricorso alle consuete formule di rito: «Anche a te e famiglia», «ricambio con affetto», eccetera.
Bando alle ciance. Mi chiedi cosa ne penso del discorso di Mattarella. Innanzitutto mi preme sottolineare che il nostro presidente ha una perfetta presenza scenica. Comunica affidabilità, serietà, rigore ma, allo stesso tempo, tenerezza e calore. Sergio mi piace. E non fraintendermi. Quanto alle sue parole, cosa dire? Come ogni anno, il capo della Repubblica ci ha proposto un sermone da capo della Repubblica.
Nulla di imprevisto e imprevedibile, niente che sia stato sopra le righe, inopportuno, audace, sconveniente, originale. È normale che in certi casi vengano inanellate una serie di banalità, una dietro l’altra, le quali stanno tutte perfettamente in piedi e sono perfettamente inconfutabili. Mattarella non merita una standing ovation ma nemmeno i pomodori tirati in faccia. Del resto, non doveva mica emozionarci, farci sussultare, farci piangere, farci ridere, farci andare di traverso il cenone o farci passare l’appetito. Il suo compito era quello di comunicare agli italiani che il loro presidente è lì, come un faro, e non manca di esserci allo scadere dell’anno, allorché si appresta l’anno nuovo, che un po’ di magone lo dà a chiunque.
Tuttavia, ancora una volta mi tocca notare che, quando si parla di violenza di genere, soltanto le donne vengono menzionate quali vittime. E questo dispiace perché vengono messe da parte e ignorate altre vittime, responsabili forse di non essere femmine. Questo non fa altro che corroborare il pregiudizio che la donna sia sempre la parte debole e che l’uomo sia sempre il sopraffattore, l’aguzzino, il persecutore. Ma un pregiudizio è cattiva informazione, anzi pessima.
A questo proposito vorrei parlare di una vicenda emblematica che pure i giornali hanno snobbato, così le televisioni. Il 5 dicembre scorso, quindi neppure un mese fa, per di più giorno dei funerali di Giulia Cecchettin, ad Agrigento, Sicilia, un uomo di 48 anni è stato arrestato (pur trovandosi nel reparto Grandi ustionati dell’ospedale di Catania), con l’accusa di avere gettato acido in faccia alla ex consorte, anch’ella, sebbene in modo meno esteso e grave, danneggiata. Era stata proprio quest’ultima a raccontare alle Forze dell’ordine di essere stata a lungo perseguitata dall’ex, finché questi non sarebbe arrivato al punto di decidere di cancellarla con l’acido, dopo averle teso una trappola. La storiella stava in piedi in quanto ricalcava quel modello che ormai tutti abbiamo in testa: da un lato, la donna perseguitata e minacciata; dall’altro, il mostro, desideroso di possederla e assassinarla. Ecco la ragione per la quale non si è tergiversato e il soggetto in questione è stato incriminato. A nulla sono valse le giustificazioni e i chiarimenti forniti subito dal quarantottenne, fino a quando, dopo qualche settimana, gli inquirenti non si sono arresi davanti alle prove schiaccianti: era stata la ex a pianificare un attacco con l’acido ai danni dell’uomo, era stata lei a tendergli il tranello, a gettargli la sostanza caustica addosso con la ferma volontà di sfregiarlo, annientarlo, bruciargli i tessuti, farlo fuori, vendicarsi, ché tanto si sa nessuno l’avrebbe mai potuta credere rea, dal momento che le femmine sono vittime per antonomasia e a prescindere. Adesso a finire in gattabuia sarà lei, accusata oltretutto anche di calunnia.
Caro Giampaolo, non è forse sintomo di inciviltà ritenere una persona colpevole a priori per via del suo genere?