Scommesse vinte e altre da giocare. Le sfide del governo di fronte a Meloni

Scommesse vinte e altre da giocare. Le sfide del governo di fronte a Meloni

Forse, non sarà il caso di festeggiare. Se non altro perché il quadro economico internazionale, con due guerre alle porte di casa, è spaventoso e può avere conseguenze pesanti. Ma anche la narrazione oggi vigente, quella di una premier allergica ai giornalisti e alle domande, alla guida di una coalizione debole e frammentata, fa acqua.

La verità è che il 2023 di Giorgia Meloni si chiude tutto sommato bene, sicuramente meglio di quello che molti profeti di sventura avevano vaticinato. Eravamo partiti con la solfa sul governo dei fascisti che sarebbe stato tenuto ai margini dell’Europa e degli organismi che contano e finiamo l’anno con un asse di ferro fra la Roma conservatrice e la Washington del democratico Biden, tanto che le accuse più dure arrivano da destra per l’allontanamento dall’estremismo trumpiano; in Europa ci sono elementi contrastanti, ma certo Meloni non è scivolata in serie b.

La durissima battaglia sul Patto di stabilità – pure Mario Monti aveva suggerito alla premier di mettere il veto – è terminata con l’introduzione di elementi di flessibilità e lo scorporo di alcune voci. Non si è ottenuto tutto quello che si sperava, il giudizio finale arriverà col tempo, ma persino Pier Carlo Padoan, che fu ministro dell’economia con Renzi e Gentiloni, parla di un «patto migliorativo».

Il Pnrr va avanti: 102 miliardi sono stati già incassati e siamo arrivati proprio in questi giorni alla richiesta della quinta rata. Certo, alcuni progetti sono stati accantonati o ridimensionati, ma di fatto l’interlocuzione con Bruxelles prosegue e si lavora per centrare decine di obiettivi.

Allo stesso modo, le bollette sono finalmente in discesa, così come l’inflazione, dopo la terribile impennata dei mesi scorsi, la Borsa é cresciuta di un sorprendente 28 per cento, lo spread è calato da 219 a 168 punti, anche se lo stallo e l’imbarazzo sul Mes non hanno aiutato, l’occupazione ha raggiunto numeri da record. Con 23,6 milioni di lavoratori attivi. Certo, i soldi sono quelli che sono, pochi. E certe mirabolanti promesse sono rimaste in fondo al cassetto, il debito pubblico è una palla al piede da quasi 2900 miliardi e si materializza negli incubi del ministro Giancarlo Giorgetti, ma le poche risorse raggranellate sono state messe a disposizione dei ceti medio bassi – vedi riduzione del cuneo e accorpamento delle due aliquote Iroef – anche se il sindacato e Landini si sono messi di traverso, proclamando scioperi su scioperi.

La spending review, che potrebbe cambiare la spina dorsale del Paese, è rimasta nel libro dei sogni, le grandi e attese riforme della giustizia sono al palo, qualche ministro è incappato in un infortunio, vedi la maldestra discesa dal treno di Lollobrigida. Si è mosso, anche se a fatica, il cantiere del premierato dove tutti dicono la loro, peggio che sulla nazionale di calcio, ci sarà modo per pesare la consistenza del rinnovamento nel corso del 2024.

Le elezioni europee sono alle porte, la coalizione a Bruxelles è spaccata in tre tronconi, ma a Roma, nei momenti chiave, trova sempre il modo di compattarsi.

Con tutto il rispetto, il fantomatico campo largo sta molto peggio.

La verità è che il governo Meloni promette di durare tutta la legislatura, e sarebbe una novità clamorosa, e potrebbe fare la differenza. Se Meloni dovesse rimanere a Palazzo Chigi non lo spazio di uno spot, ma 5 anni potrebbe portare a casa risultati importanti sui fronti più incandescenti: il fisco, dove il cambiamento è complesso e a tappe, e l’immigrazione. Nuovi arrivi si sono registrati anche ieri, e l’Italia ha vissuto nel 2023 giornate davvero buie, con 155mila sbarchi da gennaio (un aumento di circa il 50%). Ma ci sono segnali incoraggianti e l’accordo con l’Albania apre scenari inediti, tutti da decifrare, che spiazzano chi immaginava la Meloni condannata ad un permanete e logorante litigio con i partner della Ue.

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