Brutto segno, quando le trombe di Zelensky tacciono e sulle prime pagine di giornali e Tg la guerra in Ucraina è nascosta in un angolino senza gloria. Vuol dire che va malissimo per Kiev e – dato che ci siamo messi pesantemente in mezzo con parole altisonanti e armi non proprio all’altezza – pure per l’alleanza atlantica, per cui i governi occidentali tacciono, e da noi maggioranza e opposizione preferiscono scannarsi, non su missili e carri armati da esportare gratis sul Mar Nero e in Donbass, ma su impalcature (…)
(…) e piastrelle per le facciate di vecchi palazzi a cui mettere o no un cappottone di laterizi finanziati dall’erario.
Con questa spatafiata vi sto dando in realtà una notizia che ufficialmente non esiste. La guerra tra Russia e Ucraina (+Nato) la sta vincendo Putin. La saggezza imporrebbe di sistemare la questione definendo con bravi geometri e geografi alcune pratiche territoriali relative a Crimea e zone russoparlanti dell’Ucraina per assegnarle, magari dopo scontato referendum, allo Zar che le pretendeva dall’insorgere dello scontro.
La faccenda si poteva risolvere due anni fa, prima delle prevedibilissime distruzioni immani e del mezzo milione di morti tra soldati e civili distribuiti su entrambi i fronti (dei cimiteri), ragazzi e ragazze gettati nel falò secondo i costumi militari che entrambi i contendenti hanno ereditato da Stalin e dai suoi marescialli, secondo cui la ghirba degli altri, fossero pure connazionali, è sacrificabilissima agli interessi della cricca al potere. Un po’ di retorica e avanti con la prossima ondata di predestinati alla fossa.
Rispetto l’anelito di libertà del popolo ucraino aggredito, ma constato che esso è stato sequestrato e trasformato in sconsiderato massacro della sua povera gente da un comico diventato capo dello Stato, il quale ha fatto finta di credere che i pigri e opulenti popoli occidentali sarebbero stati disposti al supremo sacrificio della bolletta del gas e addirittura a schierare i propri soldatini a difendere Kherson oppure Mariupol dalle pretese di Putin. Qualcuno ci ha creduto davvero tra i nostri tamburini guerreschi che chiamavano l’Occidente alla difesa dei sacri valori calpestati dal despota orientale?
È antipatico ricordarlo, ma predissi due anni fa questa deriva disastrosa, venendo perciò trattato da cinico egoista proteso a custodire il proprio orto e la sua insalata. Non amo l’insalata, e non posseggo l’orto, adoro la libertà, anche quella degli ucraini, ma mandarli a morte non ha reso libero nessuno. Sostenni allora, e lo ripeto adesso, che la spaventosa disparità delle forze in campo imponesse di fermare il rombo dei cannoni disponendosi a concessioni. Con un piccolo particolare che è tuttora trascurato nelle analisi dei dotti: la dotazione russa di seimila ordigni nucleari di ogni gamma di potenza, trasferibili su bersagli con missili ipersonici. Ci era stata fatta passare l’idea che lo Zar di Mosca, e il suo popolo piuttosto rozzo, fossero disposti gentilmente a tenere nello scantinato queste attrezzature perché certe cose non si fanno, anche se gli americani già avevano provveduto alla medesima bisogna nel 1945. Balle. In caso di minaccia esistenziale, se uno può salvarsi la pelle, non ha remore: mors tua vita mea. Questa è, da Caino e Abele in poi, la regola suprema delle guerre quando non si trova un accordo che le fermi prima.
I russi non hanno mai perso una guerra da quelle parti dove urla il vento e fischia la bufera, le orde di mongoli e tartari si sono schiantate, gli ottomani hanno perso a fine 700, stessa sorte per Napoleone e Hitler. 30 e rotti Paesi della NATO sin dall’inizio hanno escluso di impegnarsi direttamente con i propri soldati a mettere i loro scarponi nel fango ucraino. E se sai che l’avversario non è disposto a dare personalmente la vita, e a scendere in campo, costui ha già perso. Nella mia giovinezza esistenzialista adoravo Camus e Pavese. Quest’ultimo annotò nel suo diario: «Da uno che non è disposto a dare la vita per te, non dovresti accettare neanche una sigaretta». Figuriamoci un missile o un carro armato.
Detto questo. È chiaro come il sole che Putin resta l’aggressore e Zelensky l’aggredito. Ma l’onestà intellettuale, senza bisogno degli algoritmi da intelligenza artificiale, sarebbe bastata a spingere ad accordi, risparmiando alluvioni di sangue.
Sarebbe bastato allora che i loro (e nostri) capi attingessero alla saggezza del Vangelo dove Gesù, che nonostante tutto preferisco a Zelensky, sistemò la questione così: «qual è il re che, partendo per muovere guerra a un altro re, non si metta prima a sedere ed esamini se possa, con diecimila uomini, affrontare chi gli viene contro con ventimila? Altrimenti, mentre quello è ancora lontano, gli manda un’ambasciata e chiede di trattare la pace». È tardi per trattare? Non è mai troppo tardi per fermare la guerra.