L’Italia resterà prima della classe, se non le impediranno di crescere

L'Italia resterà prima della classe, se non le impediranno di crescere

È assai complesso lo scenario verso cui si sta incamminando l’Occidente, affiancato da Cina e India, con alla finestra i Paesi arabi, tormentati dal devastante conflitto tra Israele e Palestinesi, ma dotati di una ricchezza finanziaria immensa. Si sta delineando un’incertezza che si traduce in rischi di mini crisi socio-economico-finanziarie che, se dovessero verificarsi contemporaneamente, scatenerebbero un cataclisma tale da scombussolare definitivamente le già iperprecarie situazioni attuali. Limitandosi a Eurolandia, e a casa nostra, si registra la complessità di trovare linee comuni in 20 sistemi nazionali praticamente tutti diversi su ogni argomento guida: economia e finanza, difesa, sicurezza, istruzione, ricerca, ambiente. Questo fa sì che su ogni dossier si cerchino alleanze di comodo, destinate poi a svanire repentinamente. Il Mes ne è un esempio dell’ultima ora: si è trascinato per mesi il dibattito sulle modifiche, nonostante questo istituto risalga ai tempi dei governi Berlusconi. Ma a fare sostanzialmente le differenza sono e saranno sempre più le componenti economico-finanziarie nelle quali luci e ombre sono particolarmente evidenti nel nostro Paese. Disponiamo del sistema bancario più solido di Eurolandia, grazie all’impegno di tutti i maggiori istituti di credito nel rafforzare costantemente i ratio patrimoniali e, parimenti, nel sapere valutare il merito di credito per la concessione di finanziamenti alle imprese e nell’aumentare la trasparenza attraverso governance in cui è chiaro il ruolo delle proprietà, distinto dalla managerialità alla guida organizzativa e gestionale. Bene aggiungere anche che il patrimonio finanziario degli italiani depositato in banca o investito in strumenti finanziari dei mercati regolamentati, supera abbondantemente i 4.000 miliardi di euro, a cui si affianca un patrimonio immobiliare che supera i 7mila miliardi. Infine, sempre in chiave positiva, abbiamo la seconda industria manifatturiera europea, una produzione agricola di eccellenza superiore a chiunque nel globo e un artigianato che è spina dorsale del fashion, del design, dell’enogastronomia. Parimenti, però, c’è un debito pubblico in avvicinamento a quota 3mila miliardi di euro, gravato da interessi annuali di 100 miliardi di euro, c’è un costante ritardo nell’innovazione tecnologica, nella gestione dei beni pubblici, nell’organizzazione dell’istruzione. Infine, nessun governo degli ultimi 50 anni ha saputo porre rimedio al buco nero della spesa pubblica (in particolare quella sanitaria) sia a livello centrale che locale. La sfida per il decennio in corso è riuscire a mantenere lo status di primi della classe per qualità del sistema bancario e del patrimonio delle famiglie o arrendersi all’idea di soccombere a causa delle molteplici carenze prima enunciate. Per abbattere il debito pubblico più che ricorsi a imposizioni fiscali straordinarie è indispensabile far crescer il Pil stabilmente di 2-2,5 punti anno, efficientare i cicli produttivi, ancora oggi in forte ritardo, e con e da questi aumentare gli investimenti in ricerca e formazione. Gli ostacoli sono tanti, a partire da una burocrazia rallentata dall’ipertrofia di regole contraddittorie. Crescita e burocrazia sono le chiavi per risalire la china e, grazie anche al Pnrr, porre le fondamenta di un cantiere Italia che sia in grado di sbaragliare la concorrenza, se messo nella condizione di attenersi a regole accomodanti, ma rigorose sia a livello fiscale che amministrativo e organizzativo.

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