Stefano Esposito, da senatore del Pd lei è finito sei anni fa in un tritacarne giudiziario. Ora la Corte Costituzionale ha in pratica spazzato via come illegittimi gli atti di indagine contro di lei. Come ci si sente?
«Le dico la verità, quando ho letto la sentenza sono rimasto tramortito dalla sua nettezza. La Corte è andata oltre la richiesta del Senato, che denunciava di non aver mai ricevuto la richiesta di autorizzazione a intercettarmi. I giudici della Consulta hanno sancito che le intercettazioni erano quasi tutte illegali, e dunque non sono utilizzabili e vanno distrutte. In sostanza: l’indagine nei miei confronti non doveva neanche cominciare».
È sollevato?
«Nessuno può ridarmi quel che mi è stato tolto in questi sei anni, i danni alla mia famiglia, reputazione, professionalità, i danni economici, la mia esistenza demolita. Ora il rischio è che questo processo non lo voglia fare nessuno: da tre mesi chiedo che la Procura di Torino invii gli atti a Roma, dichiarata sede competente, e quelli non lo fanno. Ma io vorrei potermi difendere nel merito, e smontare una a una le accuse assurde che mi sono state buttate addosso. Le faccio un esempio: sono stato additato al mondo come corrotto per aver avuto in regalo un tapis roulant. Peccato che le stesse carte del pm dicano che non solo non lo avevo chiesto, ma lo ho immediatamente restituito al mittente».
Cosa si aspetta ora?
«Che si verifichi se quella Procura ha violato clamorosamente la legge e la Costituzione solo nel mio caso, o se c’è un metodo. Spero che il ministro Nordio mandi un’ispezione per accertare se il mio è un caso isolato o no, come ha fatto per la vicenda Renzi con la procura di Firenze. Spero che tra i miei ex compagni di partito qualcuno lo solleciti».
Qualcuno del Pd si è felicitato con lei?
«I pochi amici che mi sono rimasti vicini. Ma certo non mi aspettavo un comunicato della segretaria, impegnata a costruire un’alleanza con i 5S, la crème de la crème del più becero giustizialismo. Certo mi fa male che il Pd abbia sepolto ogni residuo di quel garantismo che dovrebbe essere tratto identitario di una sinistra democratica: basta un avviso di garanzia, cioè spesso il nulla, per essere buttati in discarica, ed è già tanto se non ti sputano addosso. Conte, almeno, i suoi li difende: Appendino, condannata, è sua vice. Il Pd riesce a superare anche i grillini nel mollarli al primo pm. Ora poi sono impegnati a sostenere la canea della Fnsi contro il «bavaglio», ossia contro una norma di buon senso e di minima civiltà per impedire che la vita di tanta gente venga sepolta sotto fiumi di veline di pm e intercettazioni. Mi cadono le braccia».
Quella della Consulta non è l’unica sentenza che le dà ragione: in questi giorni anche la Cassazione ha autorevolmente confermato le sue denunce su centri sociali No Tav di Torino.
«Denunce che mi sono costate minacce, querele, molotov sotto casa, sette anni di vita sotto scorta: pensi che mia figlia, nata nel 2013, ha fatto il suo primo viaggio in auto dall’ospedale a casa in una macchina blindata. Ora, dopo 12 anni, la Suprema Corte conferma quel che dicevo: Askatasuna ha un profilo eversivo, un modus operandi che scimmiotta le tecniche del terrorismo. Era ora».