Tesla, la rivolta del robot. Aggredito un ingegnere

Tesla, la rivolta del robot. Aggredito un ingegnere

Questa poteva essere la notizia del secolo. Un robot due anni fa ha violato la prima legge della robotica. «Non può recare danno a un essere umano». La realtà tradisce la fantascienza. È successo ad Austin, in Texas, in una fabbrica della Tesla. Un ingegnere umano è stato aggredito in modo brutale da una macchina. L’aggressore è stato spento, ma la vittima si è allontanata lasciando sul pavimento una scia di sangue.

Non si capisce il motivo della rabbia, forse come RB-34 è un prodotto difettoso capace di leggere nel pensiero. Potrebbe invece essere violenza ideologica, una rivendicazione sindacale sopra le righe, un mal di pancia, un algoritmo scritto male, la riduzione dei buoni pasto, un dramma esistenziale, la bestemmia di una pecora smarrita contro il suo creatore o tutte queste cose insieme. La storia viene svelata in ritardo da un rapporto sugli infortuni sul lavoro presentato negli uffici giudiziari della contea di Travis, che prende il nome di uno degli eroi morti ad Alamo.

L’androide, di cui non si conosce il nome, sarebbe il primo «cattivo» della robotica, una sorta di Caino non fratricida o uno Spartaco senza esercito. Di certo si sa che Caino (o Spartaco) se ne frega delle fantasie di Isaac Asimov, che in fondo era solo un biochimico con la passione per le storie. Non avrà letto Liar! e non sa nulla di Susan Calvin, che oggi avrebbe 41 anni e morirà a 82 nel 2064. La dottoressa Calvin è il personaggio che battezza la prima legge. Nessuno l’ha intervistata per chiederle cosa sia andato storto.

La notizia del secolo avrebbe potuto segnare la ribellione della macchine, evocando quintali di paure, con questa umanità derelitta e un po’ meschina che si illude di giocare con la creazione e butta definitivamente giù dal trono l’idea millenaria di un Dio che non si vede. È il giorno di dicembre in cui si manda al macero la razionalità e il buon senso, con un brindisi mano a mano di una stirpe di misantropi, riconoscendo che quella serie in divenire di numeri possa nascondere non solo un’intelligenza, ma perfino una coscienza, un pensiero, un sentimento. Io robot. Penso quindi sono. Qualcosa che supera i confini del possibile, con una conseguenza apocalittica. Se la macchina ha istinti allora lotterà per la sua sopravvivenza e il suo primo nemico non può che essere chi l’ha generata. Uccidi il padre. Non basterebbero queste poche righe per raccontare lo smarrimento e il senso di colpa di chi per avere un futuro deve ammazzare le origini. Come in Blade Runner dopo la storia del monologo sull’io ho visto cose che voi umani e bastioni di Orione, porte di Tannhäuser e lacrime nella pioggia, quando si fanno i conti con la fine: «Tutto ciò che volevano erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: Da dove vengo? Dove vado? Quanto mi resta ancora? Non ho potuto far altro che restare lì e guardarlo morire».

Solo che a svaccare questa storia arriva lui, Elon Musk. Il signor Tesla, noto anche come Mister X, fa sapere che quello che è accaduto alla Gigatexas Factory non ha nulla a che fare con l’intelligenza artificiale. E si indigna. «È davvero vergognoso che i media ripeschino un infortunio di due anni fa dovuto a un semplice braccio robotico industriale Kuka (trovato in tutte le fabbriche) e insinuino che ora sia dovuto a Optimus». È un braccio meccanico senza intelligenza come quello che a novembre ha schiacciato un operaio in Corea del Sud scambiandolo per un peperone. Optimus, macchina intelligente, è innocente. E se si chiede a lui o alla sorella ChatGPT la risposta è netta: «Sembra una notizia falsa, verifica le fonti». Noi sappiamo che l’intelligenza artificiale racconta bugie. Non ci resta che credere a Elon Musk. Forse.

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