Ricky Gervais contro tutti. Destra e sinistra da ridere

Ricky Gervais contro tutti. Destra e sinistra da ridere

«In questo show parlo di sesso, morte, pedofilia, razza, religione, disabilità, libertà di parola, riscaldamento globale, olocausto e Elton John. Se non approvi le battute su queste cose, per favore non guardarlo. Non ti divertirai e ti arrabbierai». Con questo post Ricky Gervais, lo stand-up comedian più famoso e ricco e geniale del mondo ha avvisato il pubblico. Armageddon è uscito il 25 dicembre (una data a caso) su Netflix e è già acclamato come uno dei migliori spettacoli di sempre.

Il disclaimer vale anche per questo articolo. Se siete persone che si offendono per una battuta su una minoranza fermatevi qui. Perché Ricky Gervais è sì contro il politicamente corretto, ma anche contro quello che io chiamo tradizionalmente corretto (il politicamente corretto di destra), e prende dentro tutti, anche le maggioranze. Come ogni genio dovrebbe fare.

Inizio folgorante, in cui dichiara di essersi convertito alla cultura woke, e quindi ironizza sul fatto che cancellerà la sua biografia e scriverà sui suoi social «antifascista», perché se oggi non lo dichiari sei preso per un fascista e c’è un’ossessione nel chiedere a chiunque di dirsi antifascisti, a priori. Ma a che serve? Bisogna fermare le persone per strada e chiedergli se sono fascisti? «Come un insegnante che dichiari: non sono un pedofilo, state tranquilli, i ragazzi possono anche andare in giro nudi con me». Gervais demolisce la retorica delle parole bandite o di quelle imposte dalla cultura woke. Con annesse follie: per esempio in un film un handicappato («ma si dice disabile, ho capito») debba essere interpretato da un handicappato. Tipo Stephen Hawking, ne La teoria del tutto, doveva essere interpretato da un paraplegico. «È facile trovare un attore che nella prima parte cammini normalmente e nella seconda sia paralizzato in sedia a rotelle, ma dove lo trovate un paraplegico che nella prima parte sia costretto a fingere di camminare e correre?».

Il surriscaldamento globale e l’ambientalismo? Una riflessione interessante: in Occidente, grazie alla medicina e al progresso, ogni generazione ha sempre vissuto meglio della precedente, ma per quelle che verranno non sarà così. Tra quarant’anni, a causa delle emissioni di Co2, dell’inquinamento e delle pandemie, vivranno tutti con una maschera chiusi in casa, a piangere. «Io sarò già morto, ma spenderò tutti i miei averi per essere sicuro che ciò accada. Di solito guardi il passato e pensi oh, poverini, non avevano i bagni, come facevano? Io ne ho nove e a volte per divertirmi tiro tutti gli sciacquoni. Così tra quarant’anni Greta Thunberg dovrà cagare fuori dalla finestra».

In teoria Ricky Gervais è strumentalizzabile politicamente solo prendendo frammenti dei suoi spettacoli, perché le sue battute colpiscono chiunque, a trecentosessanta gradi. Nel mirino finiscono i matrimoni, i credenti di ogni religione, gli ebrei, i bambini, omosessuali, neri, cinesi, malati di Alzheimer, grassi (incluso sé stesso), e in generale tutto ciò che fa ridere a chi comprende l’arte dell’umorismo e suscita indignazione in chi è un fascista delle parole.

Non vi spoilero altro, ma vi assicuro che Armaggedon è un Ricky Gervais in massima forma, è uno spettacolo sfrenato a ridosso della fine del mondo. Mentre si ride, è pedagogico perché insegna che non c’è niente su cui non si possa scherzare. Scherzare su tutto non è solo liberatorio, è terapeutico, e non c’è niente di meno discriminatorio.

Tra l’altro, chi ha comprato il biglietto platino ha contribuito a donare due milioni di dollari a un ente animalista (davvero, non come alcuni pandori e uova di Pasqua), ma molti chiedono perché Ricky doni sempre agli (altri) animali quando noi siamo la specie che è andata sulla luna. «Noi? Tu sei andato sulla luna? Siamo otto miliardi, in maggioranza nullafacenti. È strano quando ci si prende il merito per tutta la specie, perché la civiltà è andata avanti così, grazie a qualche sporadico genio».

Con una morale finale molto chiara: non date mai retta a chi vi riprende perché su un certo argomento non si può ridere. Perché: 1) il senso dell’umorismo non si sceglie. 2) l’umorismo serve a ridere delle brutte cose per superarle. Censurare le parole, come fa la cancel culture, è un modo per renderle ancora più forti e non superare le discriminazioni. Sentite bene, questo passaggio: «Credo di essere woke, ma credo che la parola sia cambiata. Se significasse ancora quello che significava, ovvero essere consapevoli dei privilegi, cercare di aumentare l’uguaglianza e ridurre l’oppressione o combattere il razzismo, il sessismo, l’omofobia sì, sono decisamente woke. Ma se ora significa essere dei prepotenti puritani e autoritari che fanno licenziare la gente per oneste opinioni o fatti, allora no, non lo sono. Col cazzo».

PS: Ricky Gervais pubblicizza anche la sua vodka, la Dutch Barn Vodka. In merito ha postato: «Quando morirò, lascerò il mio corpo alla scienza per mostrare i pericoli del bere alcol e per far venire incubi agli studenti. Ma per ora celebro la vita tutti i giorni». Geniale anche qui. Beviamoci su.

Leave a comment

Your email address will not be published.