Israele ha imparato in questi tre mesi che ogni considerazione sui palestinesi può essere fatale. Ogni ipotesi ottimista può trasformarsi in una tragedia. Le tregue fra una guerra con Hamas e l’altra hanno lasciato che si costruisse il mostruoso progetto del 7 ottobre: Israele immaginava ogni volta di avere inferto un colpo ad Hamas, e invece con denaro, senso pratico, aiuto internazionale costruiva le gallerie della guerra più sanguinosa. È la prima volta che il gabinetto di guerra ha messo all’ordine del giorno il tema del domani di Gaza. La discussione è probabilmente legata al ritorno del ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer da una maratona di incontri alla Casa Bianca e dal prossimo arrivo del Consigliere per la Sicurezza Nazionale americano Jake Sullivan: è il secondo tema nell’ordine di urgenze che gli Usa propongono. I primi sono aiuto umanitario e tregua, ambedue connessi alla fragile possibilità di un accordo sugli ostaggi. Israele chiede soprattutto tempo: vuole cancellare Hamas in una guerra di necessità. E in realtà mai, nonostante molti giornali pretendano che esista un disaccordo con gli Usa, Biden ha chiesto un cessate il fuoco, come l’Onu. Tuttavia, sempre viene richiesto che Israele fornisca più aiuto umanitario, e Israele lo fa, mal ripagata dal fatto che i camion cadono nelle mani dei Hamas, o si perdono nella confusione di Gaza.
In secondo luogo, Biden insiste molto sul futuro: l’Anp per lui deve diventare un partner nella gestione della Striscia, eventualmente coadiuvata da altri stati e istituzioni. Sullo sfondo ci sarebbe il traguardo «due stati per due popoli»: anche Biden aspira al premio Nobel. Ma l’orizzonte è tempestoso: l’Autorità Palestinese è ormai preda di Hamas, tifa Sinwar, adora Mohammed Deif. Fatah agonizza. Il famoso segretario del Comitato Centrale Jibril Rajoub ha detto il 26 novembre come la pensa il popolo: «Ciò che è accaduto il 7 ottobre è un evento senza precedenti della guerra di difesa epica e piena di eroismo condotta per 75 anni». E ha aggiunto: «Una simile esplosione, ma molto più violenta, verrà dall’West Bank». Abu Mazen non ha mai condannato. Un giornale di Betlemme l’8 ottobre ha pubblicato con didascalia la foto di un topo morto: «Israele è il ratto schiacciato dai palestinesi». Il Pcpsr (Palestinian Center for Policy and Survey Research) ha registrato che il 72% dei palestinesi giustifica Hamas, il 63 crede solo nella lotta armata, il 10 pensa che Hamas abbia commesso crimini di guerra e il 60 per cento vuole che Hamas seguiti a governare Gaza. Solo il 7% pensa che Mahmoud Abbas, che dal 2005 non fa elezioni perché Hamas le vincerebbe di sicuro, dovrebbe avere il potere. Dal West Bank tutti i giorni escono attacchi terroristici rilevanti, 128 dal 7 novembre. Con orgoglio gli uomini di Fatah, rivendicano la loro parte di guerra di Shahid, Abu Mazen prosegue con gli stipendi a tutti i terroristi in carcere, anche quelli della Nukba. I canali tv hanno mostrato i funerali dei membri di Fatah che hanno partecipato all’attacco con il titolo «Sono saliti in cielo da martiri» e l’Anp ha chiamato a «aumentare gli attacchi in ogni aerea».
È pericoloso per le città, i paesi, le campagne; è l’educazione identica a quella di Hamas dalla nascita, che invita a uccidere gli ebrei in quanto ebrei, e che ha ammassato con aiuto internazionale armi in ogni casa, e conta sulla polizia palestinese, armata, allenata. Nata dagli accordi di Oslo in collaborazione con Israele, di fatto politicizzata. La rete ideologica Hamas-Fatah è comune, il progetto di riqualificazione dell’Anp per il grande progetto di pace cui americani e israeliani accennano, dovrà cominciare dall’asilo, in cui si insegna che gli ebrei non sono esseri umani.