Piange al telefono: «Mi hanno rovinato la vita, ma finalmente la verità comincia ad emergere». Stefano Esposito chiede ora che si vada avanti: «Nordio mandi gli ispettori a Torino per valutare come si è indagato per tanti anni».
Sotto la Mole si rispettavano le regole? Una prima risposta arriva dalla Consulta che dà ragione al Senato nel duello, contro la Procura di Torino. I pm hanno calpestato la legge, intercettando centinaia di volte, 500 per la precisione, l’allora senatore del Pd. Il pm Gianfranco Colace si era sempre difeso sostenendo che si trattasse di intercettazioni occasionali, perché l’obiettivo era l’imprenditore Giulio Muttoni, amico di Esposito, ma la Corte costituzionale fa a pezzi questo ragionamento. Non c’ è solo il numero spropositato delle conversazioni captate, appunto 500 di cui 130 rilevanti, e nemmeno la durata pure considerevole, tre anni, ma conta il fatto che il bersaglio fosse proprio lui: uno dei leader della sinistra tornese, acceso sostenitore della Tav e dunque fuori linea rispetto all’ortodossia del partito.
La Consulta scava in profondità: si trattava di ascolti «mirati», non casuali. E, peggio ancora, dopo la lettura dei nastri la procura chiese «approfondimenti investigativi». Di casuale o occasionale non c’era nulla. Siamo forse davanti a una vicenda senza precedenti nella pur tormentata storia giudiziaria del nostro Paese. La procura avrebbe dovuto fermarsi e chiedere l’autorizzazione a Palazzo Madama, invece si andò avanti per anni come se nulla fosse, in spregio all’immunità e all’articolo 68 della Costituzione.
Non solo: sulla base del materiale raccolto, si chiese il rinvio a giudizio di Esposito, di Muttoni e di altri imputati, accusati di corruzione, traffico di influenze e turbativa d’asta. Il processo ha già subito nelle scorse settimane un colpo devastante, perché la Cassazione ha spostato il troncone principale a Roma, per competenza. Questo vuol dire che la procura di Roma dovrà riformulare la richiesta di rinvio a giudizio e può essere che rinunci e chieda invece l’archiviazione. Si vedrà.
A Torino è rimasto solo un segmento, per turbativa d’asta, peraltro sull’orlo della prescrizione. Ma a questo punto la Consulta azzera tutto, almeno per Esposito e rimanda le carte al pm, per decidere il da farsi: tutte le intercettazioni che lo riguardano sono inutilizzabili. Come pure i messaggi whatsapp. Come se non bastasse, Colace deve difendersi ora in sede disciplinare dall’accusa di aver «spiato» senza autorizzazione Esposito.
Ma l’ex parlamentare non si accontenta: «Gli atti del pm sono stati controllati e firmati da altri magistrati per anni. È giusto che si faccia luce su quel che è accaduto a Torino dal 3 agosto 2015». Altri procedimenti di Colace, come raccontato dal Giornale nei mesi scorsi, sono stati archiviati o avvocati dalla procura generale. Altro fatto insolito, in una vicenda che si fatica a credere.