La memoria ha un futuro? Solo se non è pura retorica. Bando alle ipocrisie dunque. Il 27 gennaio nessuno pensi di «cavarsela» con un film commovente e le consuete citazioni. Interpretazione nostra – forse brutale – di una riflessione sulla Giornata della memoria che ieri è comparsa sul portale della Comunità ebraica di Milano, messa nera su bianco da Davide Romano, ex assessore alla Cultura, ideatore della commemorazione della Brigata ebraica. «Nessuno – scrive Romano – si illuda di parlare di Shoah senza affrontare il tema dell’antisemitismo in Medio Oriente oggi». E di certo non è il solo a pensarlo, dentro le Comunità ebraiche e non solo.
«Non ricordate gli ebrei morti se non difendete quelli vivi» dicono in molti, da tempo, centrando il punto della questione: la sinistra, in Occidente, ama molto commemorare gli ebrei perseguitati dal nazifascismo – e ovviamente fa benissimo – ma poi si gira dall’altra parte (se va bene) quando Israele viene attaccato dai nuovi antisemiti (Hamas, l’Iran), e anzi spesso è d’accordo quando lo Stato ebraico viene demonizzato, colpevolizzato, odiato. E con esso i suoi abitanti. «Sionisti» li chiamano. Si, perché questo riflesso non si lascia catalogare come «antisemitismo». È più «raffinato». E dopo gli orrori della Shoah, nessuno o quasi, oggi, confesserebbe (neanche a se stesso, forse) il suo antisemitismo. Oggi la categoria legittimata, socialmente e intellettualmente rispettabile, è quella dell’«antisionismo», che infatti dilaga, nelle università, nelle istituzioni internazionali, nella politica, ovunque, anche se Martin Luther King aveva già detto tutto: «Quando qualcuno attacca il sionismo – diceva – intende gli ebrei, questa è la verità di Dio».
Ecco la Giornata della memoria. Ecco la proposta, affinché la ricorrenza non diventi la fiera dell’ipocrisia: «Sarà utile partire dal filo rosso della propaganda che lega l’antisemitismo nazista a quello palestinese-islamista – propone Romano – E poi continuare mettendo in risalto come il negazionismo nazista non ha nulla da invidiare a quello del 7 ottobre». Vuole ricordarlo. Farlo presente.
Il rabbino Giuseppe Laras, nel suo testamento spirituale, aveva scritto apertamente che la Giornata era «arrivata a una crisi di senso e di comunicazione» e che era necessario «ripensarla in relazione all’attualità dell’antisemitismo contemporaneo». È il momento di farlo. Dopo gli orrori del 7 ottobre niente sarà più come prima.