Negli Usa si scaldano i motori per le primarie del Partito Repubblicano, in vista delle elezioni presidenziali che si terranno il 5 novembre 2024. Il vincitore sfiderà Joe Biden (che, essendo alla fine del suo primo mandato, sarà di diritto il candidato dei Democratici) per contendergli il diritto di occupare la Casa Bianca per i successivi quattro anni. Come da tradizione, si comincerà il 15 gennaio in Iowa, Stato irrilevante dal punto di vista demografico ma importante per sondare gli equilibri politici e per orientare dunque i voti negli Stati successivi. Molto probabilmente, un responso già chiaro e probabilmente decisivo si avrà con il cosiddetto «Super Tuesday» del 5 marzo, quando le primarie si terranno in contemporanea in 16 Stati (più il territorio delle Samoa Americane).
In realtà, l’esito delle elezioni interne ai Repubblicani sembra già scritto in partenza: a meno di clamorosi colpi di scena, lo sfidante di Biden sarà di nuovo Donald Trump. L’ex presidente continua a volare nei sondaggi, che lo danno attualmente saldamente in testa e, anzi, addirittura in ascesa fra i candidati alle primarie con il 61% dei consensi. Sembra invece definitivamente fuori dai giochi il governatore della Florida Ron DeSantis che, dopo essere partito forte, ha progressivamente perso sostegno, dimostrando di non riuscire a competere sullo stesso piano della retorica populista di Trump. Ad oggi, l’unica che sembra in grado di provare a contendere la nomination al tycoon newyorkese è Nikki Haley, ex rappresentante degli Usa alle Nazioni Unite proprio durante la presidenza Trump. Haley, il cui cognome da nubile è Randhawa, ha origini indiane ed è espressione di una linea più moderata rispetto a The Donald, che rassicura maggiormente i mercati e che le ha consentito di incassare il sostegno di personaggi come Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan. Tuttavia, al momento Haley non raggiunge neppure il 15% delle preferenze, anche se appare in forte crescita in New Hampshire, secondo Stato a votare per le primarie e che sarà il primo vero banco di prova per i candidati. Se dovesse farcela, allora la battaglia per la nomination potrebbe non essere così scontata.
Ad oggi, comunque, lo scenario più probabile è quello di una riedizione dello scontro Biden-Trump che si era già svolto nel 2020. E, stando agli ultimi sondaggi, il leader repubblicano è anche in testa per tornare alla Casa Bianca. Come è possibile che un personaggio così divisivo come Trump, per giunta coinvolto in almeno cinque processi penali, abbia ancora forti chances di essere rieletto Presidente? La risposta principale va ricercata nella crescente polarizzazione della società statunitense, non solo fra gli Stati liberal della costa atlantica e pacifica e quelli dell’interno (tradizionalmente a trazione repubblicana), ma anche tra le fasce più ricche e quelle meno abbienti della popolazione, accompagnata dalla progressiva erosione della classe media. In più, è ampia l’insoddisfazione per le politiche messe in atto da Biden, soprattutto per quanto riguarda le misure di contrasto all’immigrazione clandestina. Eppure, da una prospettiva europea, una riaffermazione di Trump sembrerebbe incomprensibile: l’economia degli Stati Uniti viaggia a gonfie vele, con il Pil che cresce molto più che in Europa e l’inflazione che sta rapidamente tornando a livelli accettabili, e in politica estera l’amministrazione Biden ha offerto un forte sostegno all’Ucraina e mostrato una posizione assertiva nei confronti della Cina.
Chi vincerà, dunque? In un momento così delicato per gli equilibri globali, caratterizzato da forti tensioni geopolitiche, probabilmente una figura divisiva come quella di Trump sarebbe controproducente. A decidere, però, saranno gli elettori americani che, tradizionalmente, sono meno interessati alle vicende internazionali e votano sulla base delle priorità di politica interna. L’esito sarà incerto, anche perché i problemi giudiziari di Trump alla lunga potrebbero pesare e precludergli il ritorno alla Casa Bianca. Dal punto di vista italiano, sarebbe indubbiamente preferibile la vittoria di un presidente attento alle relazioni transatlantiche sia dal punto di vista economico che strategico, cose che Biden ha saputo dimostrare nel corso del suo mandato. Unico vantaggio di una vittoria di Trump potrebbe invece essere un soprassalto politico-istituzionale dei Paesi del Vecchio Continente verso un’Europa più unita e responsabile in politica estera, nella difesa, nella ricerca e nella fiscalità.