Bisogna riavvitare il nastro del tempo e ripiombare a quando il mondo era soltanto una fotografia in bianco e nero. In realtà, i colori si vedevano benissimo e il rosso dominava la scena motoristica italiana perché, oltre a rappresentare la passione bruciante verso le quattro ruote di una nazione sempre più attratta verso il prodigio del Novecento, contraddistingueva tutte le vetture da corsa del Belpaese coinvolte in qualche mitica gara, come la Mille Miglia o la Targa Florio. In quegli anni ruggenti, una figura che emerge in modo dirompente è Gioachino Colombo, progettista e motorista capace come un mago di tirare fuori dal cilindro dei conigli sensazionali, che nella fattispecie si trasformavano in rombanti motori da adagiare dentro a vetture vogliose di stupire il mondo. Non a caso, Colombo ha messo al servizio di Alfa Romeo e Ferrari le proprie indiscutibili qualità, ponendo la firma su alcuni propulsori passati alla storia.
Al servizio dell’Alfa Romeo
Gioachino Colombo nasce a Legnano, il 9 gennaio del 1903, cittadina lombarda nota soprattutto per essere stata teatro di un’epica battaglia contro Federico I, il Barbarossa. Il giovane Gioachino ha nelle dita un grande talento, perché queste riescono a muoversi sulla carta in modo fluido e dinamico, tracciando delle linee perfette seguendo soltanto il filo della propria mente. È la dimostrazione univoca della sua dote innata. Quando scocca il 1917, un Colombo quattordicenne viene assunto come disegnatore, mentre il suo ingresso nel mondo dei motori arriva soltanto alcuni anni più tardi, precisamente nel 1924 quando gli vengono spalancate le porte dell’Alfa Romeo, il fiore all’occhiello della produzione motoristica italiana. Al suo fianco c’è Vittorio Jano, un altro genio italico, con il quale collabora per il progetto chiamato Alfa P2. Quest’ultima è una vettura da competizione, che diventa una delle più grandi icone degli anni Venti, trionfando nel primo campionato del mondo di automobilismo nel 1925.
Gli anni si affastellano uno dopo l’altro, raggranellando tanti successi e medaglie da mettere in bacheca. Quando è il 1937, l’Alfa invia Gioachino Colombo a Modena presso la Scuderia Ferrari. Ed è qui che progetterà la 158, la 308, la 312 e la 316. Dopo un paio d’anni in terra emiliana, il vertice del Biscione lo rivuole a casa, a Milano. Nel frattempo, tuttavia, è soprattutto il motore della mitica Alfa 158 che ha catturato l’interesse e scatenato la fantasia di un uomo in particolare: Enzo Ferrari. A quell’epoca il Cavallino Rampante è ancora una costola dell’Alfa, ma nella testa di Enzo comincia a balenare con sempre più insistenza la voglia di mettersi in proprio, con dei bolidi in grado di stupire il globo intero.
L’unione con Ferrari
Tra la gloria in pista con l’Alfa e l’avventura con la neonata Ferrari, c’è una dolorosa guerra di mezzo, che soprattutto nel Nord Italia lascia delle ferite profondissime. Nella primavera del 1945, con un Paese in ginocchio, Enzo Ferrari invita Colombo a un colloquio di lavoro che il tecnico accoglie con rinnovato entusiasmo. Durante l’incontro privato, il Drake viene fissato negli occhi dal progettista lombardo, che pone una richiesta folle e ambiziosa: “Maserati possiede un 4 cilindri, l’Alfa ha un 8 cilindri, mentre Lei dovrebbe costruire un perfetto 12 cilindri”. Enzo, che in cuor suo aveva già il desiderio di assemblare questo motore, accoglie in modo favorevole questo piccolo azzardo.
Il primo immenso lavoro per la scuderia di Maranello è un piccolo V12 per la 166 F2 con cilindrata di 1995 cm³. Noto come Motore Ferrari Colombo viene installato sia sulle auto di serie che su quelle da competizione. La produzione va avanti per circa 15 anni, e vengono costruiti propulsori di tante e varie cilindrate. Ovviamente va citato il 3000 cm³ che ha fatto le fortune di tutte le Ferrari 250, compresa la mitica 250 Testa Rossa. Il motore di Colombo, tuttavia, non ottiene troppo successo in Formula 1; per utilizzarlo nella massima categoria venne dotato di sovralimentazione mediante compressore volumetrico ma non si rivela così competitivo. Ferrari, con una delle sue intuizioni, capisce che l’era della sovralimentazione è giunta al termine e affida la progettazione dei motori della Scuderia ad Aurelio Lampredi.
Il ritorno in Alfa e gli ultimi guizzi
Gioachino Colombo abbandona la Ferrari nel 1951 per fare un gradito ritorno in Alfa Romeo. Qui gli viene affidato il compito di supervisionare il progetto e la costruzione dei motori destinati al neonato campionato di F1, dove le vetture del Biscione prenderanno parte con un ruolo da star. In quel periodo, non a caso, Nino Farina e Juan Manuel Fangio conquistano le prime due edizioni del Campionato Mondiale di Formula 1, rispettivamente, nel 1950 e nel 1951. Dietro alle vincenti monoposto del Portello c’è ovviamente lo zampino di Gioachino.
Nel 1953, però, le strade di Colombo e dell’Alfa si separano nuovamente, perché sul cammino il progettista incontra una spasimante molto convincente: la Maserati. Sotto all’effige del Tridente, Colombo inaugura il propulsore della 250F che vincerà anch’esso il titolo iridato di Formula 1 nel 1957, sempre con un asso del volante che di nome fa Juan Manuel Fangio. Due anni più tardi passa alla Bugatti per lavorare al prototipo 251, una monoposto di Formula 1 motorizzata con un 8 cilindri in linea di 2500 cc. montato in posizione centrale-trasversale. In seguito, sviluppa anche la barchetta Type 252 sulla quale viene adottato un 4 cilindri bialbero da 1488 . Archiviata la parentesi Bugatti, Colombo decide di dedicarsi alle due ruote collaborando con la MV Agusta dal 1957 al 1970. Il 24 aprile del 1987 muore a Milano, dopo aver trascorso una vita intera a rendere grande l’industria italiana dei motori, con delle opere senza tempo.