“Armageddon”, lo show di Gervais è una medicina ravviva neuroni

“Armageddon”, lo show di Gervais è una medicina ravviva neuroni

Armageddon”, il nuovo speciale di Ricky Gervais per Netflix, ha avuto una sorta di lancio ulteriore grazie alla presenza di una petizione atta a bloccarne l’uscita. Colpa di un promo in cui il grande comico definiva “pelatini” i malati terminali pediatrici. In realtà, una volta visto per intero lo show, ci sono molte altre battute la cui irriverenza sconfinerebbe nell’insulto se a porgerle non fosse un uomo di mestiere come Gervais.

Al grido di “Nessuno è obbligato a guardare i miei show”, il nostro la fa franca e si spinge oltre il mestiere di comico, diventando l’ultimo baluardo di una libertà d’espressione di cui quasi non c’è più traccia nell’odierna società. Sono tempi in cui si ha il terrore delle parole al punto che “non si può più dire niente”.

In passato mai un concentrato di pura sfacciataggine come Gervais si sarebbe spinto a dare anticipazione della scaletta degli argomenti in un post su Instagram, cedendo all’idea che la sensibilità contemporanea, quella dal bigottismo ottuso, debba in qualche modo venire tutelata.

“In questo show, parlo di sesso, morte, pedofilia, razza, religione, libertà di parola, riscaldamento globale, olocausto ed Elton John. Se non accettate che ci si possano fare battute sopra questi temi, non guardatelo. Non vi divertireste e, anzi, vi arrabbiereste”.

Questo andare incontro al pubblico generico, non certo a quello che lo segue da decenni e ne conosce l’estro scandalizzante, è quasi una resa da parte di Gervais ma, se serve a poter fruire ancora dei suoi contenuti, è un piccolo compromesso che siamo disposti a pagare. Dispiace comunque che il commediante si pieghi continuamente, durante lo show, a sottolineature in passato superflue come “una battuta è un contesto diverso, sto recitando una parte”. La smania di raccontare come funzioni la sua comicità e la volontà autoassolutoria di tale spiegazione, fanno sentire l’Armageddon del titolo un po’ più vicino.

Ciò detto, Gervais è quello di sempre, forte di una una capacità di lettura dell’essere umano che è eccellente e al contempo feroce e di un modo tutto suo di schernire certe ipocrisie del presente.

L’intrigante e intelligente gioco di riflessi in cui il comico ride di se e del proprio pubblico, serve da medicina considerato che siamo tutti intossicati di politicamente corretto.

Sottoporsi al contro-shock dello tsunami di cinismo e black humor di quello che quando non è un intrattenitore geniale resta comunque superlativo, serve a difenderci da nuove piaghe come la cancel culture.

A colpi di battute si analizza il significato corrente di parole come “woke”, fascista e disabile, mettendo in luce come i termini cambino secondo mode a volte ridicole.

In “Armageddon” ci sono perle illuminanti come “Siamo solo una specie di scimmia narcisista” ma anche scenette che mettono a dura prova perfino i fan più sfegatati quanto a soglia di disgusto. Del resto questa è la cifra: spingersi oltre il limite per dare una vera scossa e ricordare che si può e si deve ridere di qualsiasi cosa, perché così ci si salva.

Ci sono paure che, una volta trasformate in battute, vengono se non esorcizzate almeno depotenziate. La vita ci tiene troppo spesso sotto scacco e l’“umorismo serve a ridere delle brutte cose per superarle”. Un peccato che una mente sopraffina come quella di Gervais si veda costretta a sottolineare l’ovvio ma è pur vero che il suo genio è per pochi in generale, figurarsi di questi tempi.

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