L’oro nero continua a tenere a galla l’economia russa. Aleksandr Novak, il vicepremier con delega all’Energia, ha affermato alla tv Russia 24 che la Federazione ha quasi completamente “reindirizzato le sue esportazioni di petrolio verso la Cina e l’India”, raccogliendo proventi “comparabili a quelli del 2021” malgrado le sanzioni imposte dall’Occidente. “Il complesso settore energetico e petrolifero russo si sia sviluppato con successo nel 2023”, ha affermato l’uomo con soddisfazione.
I due Paesi dove è diretta la maggior parte delle esportazioni di Mosca (45-50% alla Cina e 40% all’India) sono Stati energivori le cui industrie hanno beneficiato molto dall’arrivo sul mercato di ingenti quantità di petrolio a basso costo. Per quanto riguarda l’Europa, invece, Novak ha affermato che il quantitativo “non supera il 4-5%”, cifre ben lontane dal 40-45% di prima del conflitto. Il vicepremier ha anche spiegato che i guadagni dell’export di gas e greggio hanno raggiunto i 9mila miliardi di rubli (circa 86 miliardi di euro), pari al 27% del Pil della Federazione.
Il settore degli idrocarburi, dunque, è fondamentale per l’economia russa e, di conseguenza, per la sua capacità di sopportare e supportare lo sforzo bellico in Ucraina. La tenaglia delle sanzioni imposte dal blocco Nato-Ue non è bastata a soffocare il Paese, che ha trovato nei grandi mercati asiatici i suoi nuovi partner d’elezione. Basti pensare che il valore degli scambi commerciali tra Mosca e Pechino ha raggiunto i 200 miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2023, trainato dal settore energetico, alimentare e automobilistico. Cifre considerevoli, dunque, e fondamentali in vista delle operazioni offensive annunciate per il 2024. Stando ai rapporti dell’intelligence britannica, infatti, nel nuovo anno la Russia aumenterà il budget a disposizione delle forze armate e punterà ad ottenere importanti successi sul campo di battaglia, approfittando delle difficoltà che negli ultimi mesi hanno flagellato lo Stato e l’esercito ucraino.
Vladimir Putin, però, non guarda solo all’estremo Oriente. La sua strategia infatti poggia anche sull’Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) e, in particolare, sull’intesa con il principe Mohammed bin Salman. L’Arabia Saudita, infatti, è il maggior produttore di greggio a livello mondiale e, assieme a Mosca, detiene sostanzialmente il controllo sul prezzo del carburante al barile. Così come il Cremlino, anche Riad ha degli obiettivi per cui necessita di grandi somme di denaro. I due Paesi, dunque, si trovano per il momento dalla stessa parte e con la piena facoltà di poter manipolare il costo del petrolio a loro piacimento.