Furono mesi di lavoro straordinario, per gli artigiani del Comune addetti a intagliare nel marmo le targhe delle vie. In una sola volta, cent’anni fa, vennero ribattezzate tredici strade milanesi, una rivoluzione toponomastica. Vecchie targhe vennero rimosse, nuove targhe vennero affisse lungo l’intera circonvallazione; la cerchia ottocentesca che scorreva sotto i bastioni venne dedicata alle battaglie della Grande Guerra, finita cinque anni prima. Ma non si trattò solo di rendere omaggio alla storia patria, ricordando – come disse il consigliere comunale Ercole Piatti – «nomi gloriosi e cari a tutti». Con pragmatismo assai ambrosiano, il ribattezzo delle strade servì a rimuovere omonimie e semi-omonimie, che da tempo erano causa di disguidi nel recapito della corrispondenza.
Eh sì, perché fino al 1923 i viali che partivano dalle porte avevano lo stesso nome dei corsi che dalle medesime andavano verso il centro. Così da Porta Romana partivano sia corso di Porta Romana che viale di Porta Romana: immaginarsi la confusione.
Così nella seduta del 19 luglio 1923 il consiglio comunale, sotto la guida del sindaco Luigi Mangiagalli, decise una infornata di mutamenti di nome. Viale di Porta Venezia diventava viale Vittorio Veneto, viale di Porta Monforte diventava viale Piave, e via di seguito, con i nomi dei luoghi dove i fanti italiani, e tra loro tanti milanesi, avevano versato il loro sangue: il Monte Grappa, Gorizia, il Sabotino. Si volle, secondo l’assessore Giuseppe Gallavresi «dare nuovi nomi, che rammentano fatti gloriosi recenti, alla cintura simbolica che divide ed unisce nello stesso tempo la parte vecchia della città alla parte nuova».
Andare a frugare, negli archivi civici di via Gregorovius, tra gli atti ingialliti del consiglio comunale conferma come già allora la toponomastica fosse strumento di identità collettiva e a volte di propaganda. Un anno dopo la delibera del luglio 1923, il 21 marzo 1924 lo stesso consiglio comunale decise, con enfasi ben maggiore, di intitolare il piazzale della Stazione Centrale alla città di Fiume da poco conquistata, «mirabile avverarsi di una superba aspirazione della nostra Stirpe gloriosa». A seguire, d’altronde, partì l’operazione fascista di ribattezzo di altre strade, intitolate alle date e alle imprese del regime, sbattezzate dopo la Liberazione: corso XXVIII Ottobre, corso Littorio.
La funzione celebrativa ed educativa della toponomastica era però già consolidata. Nel 1907, sotto il sindaco Ettore Ponti, si era deciso di fare una eccezione alla prassi che chiedeva di attendere dieci anni dalla morte prima di intitolare una via a uno scomparso, per Giosuè Carducci: così, solo quattro mesi dopo il decesso, al «poeta della Terza Italia» (la definizione è testuale, negli atti del consiglio) si propose di dedicare un tratto di Foro Bonaparte; la scelta venne subissata di critiche «sia per pubblicazioni sui giornali sia per lettere direttamente pervenute alla giunta», così a divenire via Carducci fu la vecchia via San Gerolamo, intestata a una chiesa ormai demolita; che aveva peraltro il pregio di essere «in diretta comunicazione col gruppo delle vie dedicate ai nostri maggiori poeti e scrittori, quali Vincenzo Monti, Petrarca, Boccaccio, Virgilio». Nella stessa seduta il consiglio trovò un nome anche alle strade della «nuova circonvallazione», ed erano quelli delle regioni italiane: viale Umbria, viale Toscana, e così via.
A fare lavorare gli scalpellini addetti alle targhe erano infatti in quegli anni non solo i fasti della storia patria ma anche il tumultuoso sviluppo urbanistico della città: nella stessa seduta del 1923 che dedica alla Guerra mondiale i viali delle porte vengono battezzate ben cinquantasette nuove strade fino a quel momento registrate solo come «strada di piano regolatore». Nascono così piazzale Martini, piazza Carbonari, via Ponzio e tante altre strade entrate in fretta nella dimestichezza quotidiana dei milanesi.