Non è vero che l’uomo è che ciò che mangia. L’uomo (anche la donna, per carità) è ciò che dice. Se vuoi capire un popolo, e un Paese populista come l’Italia, devi studiare le parole che usa di più, i termini che cerca su Google, i tormentoni che inventa e i modi di dire. Che sono poi i modi di pensare.
E cosa ha «detto» l’Italia nel 2023? Incrociando i dati forniti da alcune piattaforme online, dalla Treccani e da Wikipedia, sappiamo che nel Paese là dove ‘l sì suona oggi rimbombano i «Bro», i «Chill», gli «Amo’», e i «Boomer», che è il termine con cui ci chiamano i nostri figli, quelli che fino a 28 anni stanno a casa a farsi lavare le mutande dalla mamma e si accampano in tenda pretendendo alloggi gratis vicino alle Università.
E tacciamo degli «influencer», ultimamente in ribasso.
Comunque, tolti «Pupone» e «Ilary», imbattibili, le parole protagoniste del 2023, in barba a «global warming» e «climate change», false ecoansie, sono «guerra», «Gaza» e «armocromista», vocabolo destinato a segnare una stagione storica della sinistra. Poi ci sono «underdog» (riferito alla Meloni, ma non è un insulto) e, ovviamente, per un popolo che ne ha persa tanta naturale, «intelligenza artificiale».
Anche se in assoluto la parola dell’anno, secondo tutte le ricerche, resta la misteriosa «Apayinye», nata su TikTok e usata come risposta ogni volta che qualcuno non capisce una domanda. Il che la dice lunga sul livello medio di comprensione degli italiani.