Raid a Gaza, l’Iran mina il Mediterraneo

A Gaza bombardamenti nel campo Al-Maghazi. "70 persone uccise nei raid"

L’uccisione del responsabile per le forniture militari di Hamas, vantata ieri dall’esercito israeliano come un successo verso lo smantellamento dell’organizzazione (con oltre 200 terroristi già portati in Israele per essere interrogati), non allenta il pressing occidentale sul gabinetto di guerra presidiato dal premier Bnjamin Netanyahu per fermare la morsa su Gaza. Né sul presidente americano Joe Biden, che non riesce a incidere sulle scelte di Israele come in passato. Ieri telefonata tra i due. Ma l’Idf colpisce ormai anche a Rafah, nel sud (dove l’Onu vuole aiuti).

Dopo l’eliminazione di Al Atrash, responsabile anche del «contrabbando di armi da vari Paesi» verso la Cisgiordania, ieri è stato il ministro della Difesa italiano Crosetto – tra gli altri del G7 – ad augurarsi una de-escalation e l’avvio di un percorso di pace che porti l’Onu nella Striscia. «La popolazione palestinese non ha nulla a che fare con Hamas», ribadisce.

Sulla nave italiana Vulcano è nata una bambina palestinese. Si curano feriti. Ma sul campo gli aiuti convivono con le incognite di una guerra in pieno svolgimento e con nuove fette di civili avvisati da Israele: sgombrate, si cercano altri covi. L’ultima evacuazione, dal centro della Striscia, a Deir al-Balah: 150mila persone stando all’ufficiale Onu Thomas White secondo cui «nessun posto è sicuro», neppure i rifugi Unrwa.

La diplomazia arranca. Il testo votato dal Consiglio di Sicurezza chiede aiuti e non tregua. Si limita a misure per «creare condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità»; insufficiente pure per la Lega araba. Il segretario generale Guterres invita Israele a moderare i raid e armi impiegate. Poi ricalibra: «Niente può giustificare il 7 ottobre, o il brutale rapimento di circa 250 persone». Resta il suo appello «affinché tutti gli ostaggi siano rilasciati senza condizioni». Ma Hamas non controlla più tutta la sua rete, sfilacciata dai blitz. Il portavoce delle brigate Qassam, il braccio armato, ieri ha ammesso d’aver perso contatti con uno dei gruppi che aveva 5 ostaggi. Probabilmente morti.

La caccia di Netanyahu si allarga, perdendo altri 5 soldati (144 finora) e consensi in patria e tra gli alleati. Israele risponde ai tiepidi inviti dell’Onu che gli allarmi dello Stato ebraico sono risuonati anche ieri, a sud e nord. Non sembra esserci infatti né la volontà di fermarsi di Hamas (dopo 48 ore di pausa, vari razzi hanno innescato sirene pure nel kibbutz di Kfar Aza, in larga parte già evacuato) né degli Hezbollah libanesi. Alza i toni anche l’Iran. L’ayatollah Khamenei grida che il «regime sionista sarà sradicato». E i suoi pasdaran minacciano manovre per ostruire il Mediterraneo paventando la «nascita di nuove potenze di resistenza e chiusura di altre vie d’acqua». Mar Rosso, Canale di Suez, dove gli Houthi yemeniti continuano a mirare su navi commerciali. La Spagna ieri si è sfilata dalla missione occidentale di protezione. Riposizionamenti Ue, mentre in Libano è atteso il 3 gennaio il discorso del leader Nasrallah. Mark Regev, consigliere di Netanayahu, lancia un amo: se Hamas rilasciasse 100 ostaggi, «pronti per un’altra pausa umanitaria, come a novembre». Ma le condizioni non ci sono. Inutile anche la telefonata tra i presidenti di Egitto e Iran, in nome «dell’unità islamica».

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