La crisi del mar Rosso coinvolge ormai buona parte della comunità internazionale. Gli attacchi degli Houthi alle navi mercantili hanno inflitto un duro colpo alla rete del commercio marittimo mondiale, le cui conseguenze potrebbero aggravarsi nel prossimo futuro. “Le navi non passano più nel Mar Rosso, quindi aumentano i costi perché devono fare il giro dell’Africa”, ha affermato il ministro della Difesa Guido Crosetto durante la sua visita al contingente italiano a Camp Adazi, in Lettonia. “Tutto poi arriva, purtroppo, sulle tavole di ognuno di noi, nella borsa della spesa, nel conto energetico”.
Il rappresentante del governo italiano ha sottolineato che la situazione deve essere affrontata “se non vogliamo riprendere quella china che porta all’aumento dei prezzi che ha reso più difficile la vita degli italiani e degli europei e di tutto il mondo negli ultimi due anni”. Il rischio concreto è l’esplosione di un’altra crisi economica, che colpirebbe un Vecchio continente che sta ancora facendo i conti con la fragilità della ripresa post-Covid e l’impennata dei costi dovuta al conflitto in Ucraina. Anche la Gran Bretagna si è espressa a favore di un intervento duro e rapido, per evitare che il mar Rosso diventi “una zona vietata alla navigazione marittima”. Il ministro degli Esteri David Cameron ha anche affermato che il Regno Unito e i suoi alleati intensificheranno gli sforzi per contrastare “l’influenza maligna” dell’Iran, lanciando “un messaggio molto chiaro” sul fatto che le sue attività non saranno tollerate.
Le rotte che passano per il golfo di Bab al-Mandab sono vitali per gli scambi commerciali. Nelle acque che collegano Asia ed Europa, infatti, transitano il 30% dei container e il 12% del petrolio esportato a livello mondiale. Gli attacchi dei ribelli yemeniti con droni e missili, inizialmente diretti solo contro navi collegate a Israele in supporto alla causa palestinese, sono diventati sempre più frequenti e hanno costretto le maggiori compagnie di trasporto marittimo a deviare le loro navi verso il capo di Buona Speranza. Una rotta, questa, che prolunga di due-tre settimane i viaggi usuali.
La risposta del blocco occidentale non si è fatta attendere. Gli Stati Uniti, che già avevano dislocato nell’area lo strike group della portaerei Dwight D. Eisenhower, hanno dato il via all’operazione “Prosperity guardian”, mettendosi a capo di una coalizione composta da Bahrein, Canada, Regno Unito, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Seychelles e Norvegia. Vascelli da guerra dei vari Paesi stanno confluendo nel mar Rosso, rinforzando i contingenti già presenti come parte della Combined task force 153 istituita nel 2022. Per il momento non si è ancora parlato di attacchi diretti contro le infrastrutture dei ribelli a terra, ma secondo diversi osservatori una rappresaglia sarà inevitabile.
In tutto questo, rimane ancora l’incognita dell’Iran. La Repubblica islamica è il principale sostenitore dei ribelli yemeniti, ma rappresentanti degli ayatollah hanno affermato che gli Houthi stanno agendo indipendentemente dalle direttive di Teheran. Dichiarazioni, queste, che non hanno convinto le cancellerie occidentali. I sospetti del blocco Ue-Nato si stanno concentrando in particolare sul cargo Behshad, ancorato da due anni a nord dello stretto di Bab el-Mandeb, che i servizi iraniani potrebbero utilizzare per fornire informazioni ai propri alleati sul traffico marittimo civile e militare nel mar Rosso. Inoltre, l’attacco del 23 dicembre ad un nave cargo “affiliata a Israele” nell’Oceano Indiano è stato visto come un possibile allargamento di questo conflitto. Il Pentagono ha accusato direttamente l’Iran di aver lanciato il drone che ha colpito la Chem Pluto, e questa potrebbe essere la prima scintilla di un incendio destinato a coinvolgere tutta la regione.