“Non mi dimetto”. La verità di Giorgetti su Patto e Mes

Btp in vetrina nell'anno d'oro dei bond

Giorgetti contro il governo, Giorgetti scuote la maggioranza, Giorgetti dovrebbe dimettersi: questi i titoli dei giornali schierati ieri mattina, ma quanto c’è di vero in tutto ciò ministro Giancarlo Giorgetti?

«Non sono sorpreso di quei titoli. D’altronde le opposizioni da mesi preparavano l’apocalisse sul Mes. E puntualmente lo scossone è arrivato al momento del voto. Io me la spiego così. Prima pensavano che crollasse tutto con la manovra, ma le agenzie di rating hanno spiegato che difficilmente avremmo potuto fare meglio quanto a prudenza, responsabilità e stabilità dei conti pubblici. Poi anche il Patto di Stabilità è andato nel verso giusto: qualche brusio ma niente più. Non restava che il Mes…».

Dunque niente dimissioni?

«Fino a quando la maggioranza sosterrà la mia impostazione su progetti seri, credibili e sostenibili non vedo perchè lasciare. Come ho già detto, l’opposizione ha tutto il diritto di dare suggerimenti, anche graditi, poi però decido io».

A proposito del voto sul Mes, Matteo Salvini parla di scelta coerente, Romano Prodi di scelta folle, altri di decisione bizzarra o sconsiderata. Lei ha precisato che quale ministro dell’Economia avrebbe detto sì alla ratifica: cosa dobbiamo pensare?

«Anche qui nessuna sorpresa. La Lega ha sempre detto che era contraria. Dunque, è questione di coerenza. Ciò che appare improprio per un membro dell’Unione è che dopo aver preso un impegno di ratifica, al momento di firmare si tira indietro. Ma ribadisco, a quel punto la questione non era più economica bensì politica».

Secondo il Fondo monetario, senza il Mes in versione salva-banche l’Europa sarà meno stabile. È davvero così?

«Come ministero dell’Economia abbiamo sempre sostenuto che una cintura in più attorno al sistema bancario è la benvenuta. Ma il Mes è uno strumento come altri, per esempio come i fondi di risoluzione nazionale e quelli europei per: dunque, niente più che una delle possibili soluzioni al problema vero, che è il debito. Ma se si lavora con prudenza, prendendo anche decisioni impopolari per renderlo sostenibile, il Mes diventa poco più di una cura sul bancone del farmacista. Non credo che l’Europa senza il Mes in versione salva-banche corra seriamente rischi di stabilità».

Del resto venerdì scorso è sembrato che i mercati fossero della sua stessa opinione, visto che anche lo spread Btp-Bund ha dato segni incoraggianti. E tuttavia si parla di perdita di credibilità del governo, che da oggi dovrà lavorare molto per recuperare la fiducia di alcuni partner dell’Unione.

«Io penso che la fiducia nei confronti dell’Italia sarebbe crollata solo se il governo avesse approvato una manovra con proposte bizzarre, come quelle che spesso provengono dall’opposizione. Per solito i mercati valutano il comportamento di un governo soprattutto rispetto alla sostenibilità del debito».

Cosa risponde a chi l’accusa di essere l’alfiere dei tagli e dell’austerità?

«Un’accusa che mi fa sorridere, perché coloro che alzano il dito sono gli stessi che volevano approvare il Mes. Invece io ringrazio la maggioranza che ha accettato di tenere il punto sulla manovra. E non era facile visto che in alcuni casi abbiamo dovuto assumere decisioni impopolari».

È possibile che i 19 Paesi dell’Eurozona che hanno ratificato il Mes in versione salva-banche ora decidano di andare avanti senza l’Italia?

«Tutto è possibile. Ma il Mes è nato in una certa fase storica con problematiche diverse dalle attuali. L’Unione Bancaria e il Mercato dei Capitali sono più importanti, specie per l’Italia. Capisco l’irritazione dei partner per la bocciatura, anche se sapevano da tempo che questa possibilità era tutt’altro che remota. Però ricordo che anche il governo Draghi si era rifiutato di presentare il Mes in Parlamento, rinviandone l’esame. Perlomeno noi al voto ci siamo arrivati. Un punto alla fine è stato messo».

Sappiamo che a premere fortemente per un Mes in versione salva-banche è soprattutto la Germania, per i ben noti problemi del suo sistema bancario. Ma allora perché proprio da parte tedesca tanta resistenza verso la promozione di una Unione Bancaria degna di tale nome?

«Il punto è che sul tavolo non c’è solo l’Unione Bancaria. In un momento storico come l’attuale servirebbe una seria normative che però fatica a trovare paladini nell’Eurogruppo piuttosto che nell’Ecofin. Purtroppo sono costretto a riconoscere che manca lo spirito costituente che servirebbe. Altro che Mes. Qui non tutti servono gli interessi dell’Unione, c’è chi preferisce fare i fatti propri a spese di tutti. Però non mi chieda altro».

A proposito di Patto di Stabilità. Nell’annunciare l’accordo raggiunto con Parigi e Berlino, lei ha parlato di cose buone e meno buone. Quali sono le meno buone?

«Sono abituato a dire le cose per quel che sono. Al netto del contenuto positivo relativo al Pnrr, un’Europa che ha l’ambizione di sedere al vertice del sistema geopolitico, di disporre di un proprio esercito, di puntare seriamente alla transizione energetica, non può ignorare che tutto questo implica grandi investimenti pubblici. Sarebbe come dire che vogliamo andare sulla Luna con il deltaplano. Le scelte devono essere coerenti con le ambizioni e i mezzi adatti a perseguirle. Ecco le cose che a mio avviso sono meno buone».

Non le sembra che il testo del Patto sia troppo complesso?

«Ha ragione. Forse è davvero troppo complesso e quindi ancora poco comprensibile negli sviluppi. E tuttavia c’è chi ritiene di avere capito già tutto e spaccia qua e là sciocchezze che non aiutano a capire l’importanza dei passi in avanti. Proprio perché troppo complesso, serviranno molte simulazioni per capire come funziona realmente. Il punto è che in tanti vivono ancora dell’allucinazione pandemica, quando non c’erano regole sul debito e i tassi erano a zero o addirittura negativi. Oggi la realtà è un’altra. I tassi sono volati e fare debito a ripetizione non è più possibile. Soprattutto bisogna capire che il confronto va fatto non con la fase pandemica, ma con il vecchio Patto di Stabilità».

A proposito di debito, ieri il Tesoro ha annunciato che nel 2023 sono stati emessi titoli pubblici per 516 miliardi contro i 424 miliardi del 2022. Che cosa ha inciso maggiormente su questo mega-balzo?

«Durante la pandemia le regole erano sospese e per aiutare famiglie e imprese si è fatto molto debito che ora va pagato e con tassi non più a zero. Era il debito buono di Draghi, che era giusto fare ma ora siamo chiamati a fare i conti con le conseguenze. Per capire di più, basti dire che l’Italia attualmente paga circa il doppio di interessi passivi rispetto alla Germania. Lo sforzo che deve fare il ministro dell’Economia è ricordare anche alla maggioranza che lo sostiene che non c’è altra via che mantenere un profilo di finanza pubblica compatibile».

Il 2023 verrà anche ricordato per il via alle privatizzazioni che il governo Meloni, dopo anni di promesse mancate da parte di esecutivi privi di un serio progetto, ha cominciato a realizzare. Il collocamento del 25% del Montepaschi è infatti preludio a un’operazione più articolata che potrebbe vedere la luce già l’anno prossimo insieme a un robusto collocamento di azioni di Poste in Borsa. A questa attività bisogna aggiungere lo storico accordo tra Ita e Lufthansa e il via libera al rientro della rete di telecomunicazioni nell’alveo pubblico. Inoltre, un paio di giorni fa il ministro Adolfo Urso si è detto certo che il governo non lascerà morire l’ex Ilva. Il ministro Giorgetti è altrettanto fiducioso?

«Giorgetti è realista. Sull’Ilva siamo impegnati ma chiediamo lo stesso impegno al socio privato. Non si può chiedere allo Stato di sostenere la società senza che l’azionista privato, cui è affidata la gestione dell’azienda, faccia la sua parte. In una parola, il governo è disposto ad accompagnare il rilancio del gruppo, ma servono soci che seguono e che facciano sacrifici al pari dello Stato».

Mercoledì 27 lei sarà alla Camera per riferire su temi della manovra in vista del voto finale. Si parlerà anche di proroga del Superbonus o possiamo dare per chiuso quel capitolo?

«Spero per mercoledì di avere i dati aggiornati e in base alla politica del ministero dell’Economia dirò fino a che punto potremo tutelare le situazioni più fragili. Però debbo ricordare che ogni mese di superbonus ha un costo enorme, insostenibile in termini di finanza pubblica. Si farà solo qualcosa nei limiti in cui non venga pregiudicato l’equilibrio generale dei conti».

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