Nessuna delle amministrazioni statunitensi che si sono susseguite negli anni è mai riuscita a definire cosa fosse la vittoria. Ovvero l’epilogo di guerre prolungate e costosissime in Vietnam, Irak e Afghanistan, sotto la guida militare di generali molto attenti ai media, le cui sconfitte hanno a malapena danneggiato le loro carriere di celebrità intraprese dopo il pensionamento.
Ma ora apprendiamo dalla Reuters che Hamas almeno sa esattamente come definire (…)
(…) la vittoria: «Niente di meno della fine completa dell’offensiva di Israele».
Hamas ha iniziato la guerra il 7 ottobre per dimostrare il fallimento della deterrenza di Israele e, dopo averlo fatto con grande successo, ora ha solo bisogno della «fine completa» della controffensiva di Israele per ottenere una vittoria convincente che può valere il pieno controllo di Gaza. Il che significa controllare anche i milioni che arriveranno dall’Irlanda e da altri Stati irresponsabili, oltre ai miliardi provenienti da Qatar, Kuwait e altri Paesi ricchi di petrolio.
Questi fondi sarebbero ovviamente destinati alla distribuzione immediata di assistenza sociale e alla ricostruzione di alloggi, ospedali e scuole, ma Hamas li dirotterà per ricostruire le sue officine missilistiche sotterranee e le sue reti di tunnel, e per finanziare l’addestramento militare, la propaganda e le unità politiche dentro e fuori Gaza, lasciando qualcosa anche per i conti bancari dei suoi leader miliardari che vivono nel lusso a Doha e in Turchia. E sono gli Stati Uniti e gli altri Paesi finanziatori delle Nazioni Unite che continueranno a pagare per l’intero stato sociale dell’Unwra che ora ospita, nutre, insegna e cura i pronipoti dei rifugiati palestinesi del 1949.
A differenza di tutte le altre organizzazioni di aiuto ai rifugiati, passate e presenti in ogni altra parte del mondo, il cui obiettivo è il reinsediamento in qualsiasi Paese accolga i rifugiati, l’Unwra rinuncia assolutamente a qualsiasi reinsediamento: i suoi assistiti devono rimanere rifugiati per sempre, in attesa di tornare tra le rovine delle città israeliane quando arriverà quel grande giorno.
Questo è ciò che viene insegnato ai rifugiati dagli insegnanti palestinesi messi da Hamas nelle scuole dell’Unwra finanziate dagli Stati Uniti e da molti altri Paesi, i cui pochi supervisori stranieri, tra cui americani e britannici, si sono sempre limitati a mantenere la propaganda genocida sottotraccia, così da essere «negabile».
Poiché Hamas non ha mai fatto finta di combattere per il benessere della popolazione di Gaza o per la Palestina come causa nazionale, in opposizione all’islam globale – la Umma – che rifiuta tutti i nazionalismi, non si assume alcuna responsabilità per i morti e i feriti della guerra o per la ricostruzione di Gaza.
Quindi, in caso di cessate il fuoco permanente, Hamas può mettersi subito al lavoro per preparare il suo prossimo attacco a sorpresa, sperando in un altro 7 ottobre di uccisioni indiscriminate di ebrei di tutte le età e di stupri ancor più eccitanti. Questi ultimi sono stati ampiamente filmati dagli aggressori di Hamas non solo per esultanza: la cattura e lo stupro delle donne è parte integrante delle rappresentazioni musulmane della vittoria, come dimostrano le reazioni entusiastiche di alcuni professori universitari musulmani negli Stati Uniti agli eventi del 7 ottobre.
E se qualcuno a Gaza si oppone a una nuova guerra – o anche se decine o centinaia di migliaia di persone si oppongono, come hanno cercato di fare in passato – Hamas agirà come ha sempre fatto, spingendo sacchi in testa a chiunque chieda apertamente di fermare il lancio di razzi e gli attacchi transfrontalieri, per poi sparare a chi è ancora senza voce di fronte alla folla, per terrorizzare tutti gli altri.
C’è un motivo per cui Hamas ha rifiutato con fermezza nuove elezioni dopo la sua vittoria al Consiglio Legislativo Palestinese del 25 gennaio 2006. Dopo aver rifiutato Fatah per la sua corruzione e aver scelto Hamas, gli abitanti di Gaza hanno scoperto che c’è qualcosa di peggio del furto di fondi pubblici: attaccare un Israele sempre più forte senza alcuna possibilità di vittoria, con l’assoluta certezza di una rappresaglia israeliana.
Ignorando totalmente l’irrilevanza dell’opinione pubblica di Gaza sotto la dittatura di Hamas, i generali in pensione della «contro-insurrezione» e persino, in un momento di incertezza, il Segretario alla Difesa Austin, che gli israeliani rispettano molto, hanno detto e continuano a dire che gli israeliani devono ridurre i loro bombardamenti o addirittura i loro attacchi del tutto, al fine di «conquistare la fiducia della popolazione».
Questa formula è fallita in Vietnam, Irak e Afghanistan: non si può «conquistare la fiducia» delle popolazioni dominate da estremisti brutali. Ma a Gaza l’irrilevanza della moderazione israeliana sarebbe assoluta: Hamas non combatte per difendere la popolazione locale, ma per la vittoria islamica e l’uccisione di tutti gli ebrei, come dichiarato nel suo statuto, e non tollererebbe nemmeno per un momento che qualcuno a Gaza possa essere «conquistato» dalla moderazione israeliana.
Poiché Hamas definisce così chiaramente la sua vittoria, anche gli israeliani possono farlo. La «fine completa dell’offensiva» richiesta da Hamas, dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e da innumerevoli studenti universitari statunitensi e britannici significherebbe una sconfitta completa per Israele. Al contrario, la continuazione della guerra, sine die come si dice in diplomazia, è la precondizione essenziale di qualsiasi vittoria, comunque definita. E questo significa che, proprio come nella prima guerra del 1948-49, gli israeliani potrebbero dover continuare a combattere da soli senza il sostegno degli Stati Uniti. Ciò che accadde allora riflette una logica che è ancora pienamente valida.
(1-continua)