È risultata molto istruttiva l’intervista radiofonica (Tutti convocati di Radio24) rilasciata da Bernd Reichart, ceo di A22, la società che si occupa della edizione riveduta e corretta della Superlega. In particolare sul dietro le quinte del calcio italiano: «Molti club italiani, tra quelli che hanno ufficialmente detto no al progetto, ci hanno chiamato per spiegare la loro posizione». Ecco allora tornare alla ribalta uno dei tratti distintivi di alcuni esponenti del settore: in pubblico cavalcano lo status quo per non infastidire o addirittura inimicarsi il manovratore (Federcalcio, arbitri, l’Uefa stessa nel caso di partecipanti alle coppe europee, magari il presidente della Fifa che promette di trovare finanziatori per qualche club indebitato; ndr) mentre in privato, parlando con l’interessato, confessano l’interesse per la nuova proposta. «Adesso possiamo discutere alla luce del sole» è la frase di Reichart. E d’altro canto nel panorama della serie A, oltre ad Atalanta, Inter e Roma che hanno vergato note di adesione agli attuali format, non ci sono state altri interventi. Non solo.
Mentre il presidente del Napoli AdL è uscito allo scoperto con una sua idea («la serie E di elitè»), lo stesso consiglio di Lega riunito d’urgenza, ha sottoscritto una nota prendi tempo nella quale si è detta non ancora pronta ad esprimere un parere approfondito. Juve e Milan hanno avuto almeno quel briciolo di contegno nel non avventurarsi in una dichiarazione lasciando appunto trapelare l’interesse per l’eventuale nuovo torneo e rinviando ogni valutazione ai prossimi mesi quando sarà soprattutto chiaro chi paga il nuovo torneo. Di sicuro, poiché i sospetti alimentati dal chiacchiericcio romano, porterebbero in Arabia, la smentita secca del ceo di A22 su tale coinvolgimento, è una prima risposta. Per concludere non si può che rimpiangere una grande assenza. Fosse stato ancora tra noi il fondatore di questo Giornale Indro Montanelli avrebbe di sicuro riproposto la prefazione scritta per un libro del suo amico Carlo Marchi (anno di pubblicazione 1985) nella quale scolpì il carattere «dell’Italia che cambia e degli italiani che non cambiano mai». Si può dire esattamente lo stesso di questo nostro calcio.