Mettiamoci il cuore in pace. I confronti tra passato e presente non sono mai stati un banco di prova credibile. Nell’epoca del digitale in cui ogni cosa è vecchia – per non dire defunta – nel momento stesso in cui nasce, è più facile pensare al domani che all’oggi. Eppure, la tentazione di restituire dignità alla realtà dei fatti affiora. L’anno che sta per terminare ci mette di fronte a un dato non di facilissima lettura: il numero di copie vendute di questo o quel brano musicale. Un tempo, di dubbi non potevano essercene: Cd, 45 giri, Lp ecc. Oggi il dato tende ad accorpare download a pagamento e copie fisiche di vinili (in larga parte) e Cd (in calo assoluto). Comunque sia, quest’anno l’usanza di regalare musica per Natale potrebbe confermare un trend in crescita da qualche tempo: il ritorno del cantautorato. Non solo perché, diciamocelo chiaramente, di natalizio la trap non pare avere granché, ma soprattutto perché sulla slitta di Babbo Natale un conto è far trovare un oggetto tangibile e tutt’altra cosa è sistemare un bigliettino con accesso a un download prepagato.
Oggi, la facilità e gratuità di accesso portano spesso a una svalutazione affettiva dell’opera. D’altro canto, a cambiare è il concetto stesso di ascolto – sarebbe forse meglio dire “ascolto-visione”, considerato che molta musica è fruita soltanto attraverso videoclip online – e la prima cosa che balza all’occhio è la durata limitatissima dell’ascolto come pure la tendenza al clic forsennato per passare a un altro brano e, addirittura, per fruire di più contenuti contemporaneamente, con scarsissima attenzione alla musica e ancor meno tempo e interesse per eventuali contenuti supplementari. Ciononostante, i grandi nomi del cantautorato italiano continuano a farsi valere e, saggiamente, in parecchi hanno scelto di organizzarsi un bel Natale. E qualcosa di analogo sta avvenendo anche a livello internazionale.
Francesco Guccini ha pensato bene di tornare nel luogo in cui musicalmente è nato, il cuore stesso dell’antica vita conviviale della sua amata Emilia. Canzoni da osteria strizza l’occhio al nazionalpopolare, ma la scelta dei brani ha una direzione precisa.
Dopo le limitazioni della pandemia, pare che all’ascoltatore italiano sia tornata una gran voglia di andare ai concerti e, considerati i prezzi talvolta improponibili di certi spettacoli, in gran voga è l’idea di starsene in poltrona ad ascoltare i propri beniamini attraverso la registrazione di una loro esibizione recente. Alla Scala di Paolo Conte e Il Concerto del duo Antonello Venditti e Francesco De Gregori forniscono una via sicura. Poi c’è chi di concerti, purtroppo, non ne terrà più e DallAmeriCaruso, registrato al Village Gate di New York nel 1986, può essere l’occasione per rinverdire i fasti irripetibili di un Lucio Dalla d’annata nella sua veste migliore, quella live. Di nomi classici si parla e non si può fare a meno di citare Io, noi e Gaber, un docufilm sulla figura del grande artista milanese, proiettato con notevole successo di pubblico al cinema per un numero limitato di serate.
La spaccatura tra chi ascolta musica online e chi ancora acquista dischi è notevole. Ed è pure notevole una differenziazione generazionale tra chi la musica la ascolta principalmente su piattaforme social e chi ha abbonamenti che consentono di creare un’utile playlist aderente ai propri gusti più o meno classici. I più giovani nei pochi negozi di dischi rimasti non ci vanno, anche perché i trapper che prediligono hanno nomi destinati in larga parte a una rapida obsolescenza e adeguati all’ascolto immediato, con scarse probabilità di lasciare un segno. E non entro nel merito etico dei contenuti testuali, soprattutto dell’ossessione a tratti patetica e quasi sempre banale di utilizzare riferimenti costanti a violenze e abusi, elementi che stridono persino nei brani di musicisti gansta rap provenienti da qualche ghetto americano. Qualcuno, naturalmente, si eleva sopra la media e, in tal caso, il confine tra trap/rap e cantautorato tende a sfumarsi.
Tedua, con il suo terzo album, La Divina Commedia – troppo facile sostenere che Dante si stia rigirando nell’onorata tomba – può esserne un esempio calzante.
Si diceva che i vecchi cantautori sono alla riscossa anche fuori dai nostri confini. Se Bob Dylan non ha mai mollato l’osso e, semmai, ha quadruplicato i propri sforzi, mettendosi a fare quadri, produrre whisky, realizzare cancellate in ferro battuto e sfornare dischi a tutto spiano (compreso Shadow Kingdom, il suo 40° album di studio), nemmeno Neil Young se n’è rimasto con le mani in mano: Before and After, il suo 45° album di studio, è disponibile da qualche giorno. E l’entourage del compianto Tom Petty ha da poco pubblicato il disco dal vivo Live at the Fillmore 1997.
La buona musica non teme l’incedere del tempo. Come ha dichiarato il chitarrista Joe Walsh, a proposito dell’intelligenza artificiale: «Mi preoccuperò quando sarà in grado di distruggere una stanza d’albergo».