L’Espresso, la cui gloria giornalistica – nonostante la direzione di Marco Damilano è fra le più alte che l’Italia possa vantare, ha scelto Elena Cecchettin come persona dell’anno. Alla sorella di Giulia, la cui tragica vicenda ha segnato il Paese, è dedicata la copertina del numero in edicola: «Ha trasformato il dolore privato in assunzione di responsabilità collettiva».
Umanamente non ce la sentiamo di contestare la scelta. Il dramma di Giulia mette a tacere ogni perplessità.
Però anche Gino Cecchettin, il padre, non sarebbe stato male. Ma in effetti lui era già stato da Fabio Fazio.
Semmai è dal punto di vista giornalistico che ci permettiamo di avanzare un leggerissimo dubbio. E cioè che il criterio politico abbia prevalso su quello civile.
Ultimamente le copertine celebrative dell’Espresso più che compattare i lettori, li dividono. Quella di Elly Schlein non le ha portato bene. Quella di Zerocalcare (L’ultimo intellettuale) forse era un po’ impegnativa. Quella di Aboubakar Soumahoro (Uomini e no) malaugurata: alla fine ha fatto passare Matteo Salvini per Catone il Censore.
Il nostro vecchio padre spirituale ogni volta che in collegio un insegnante iniziava a parlare troppo bene di un alunno riportava tutti alla realtà così: «Non esageriamo. In terra siamo tutti peccatori. I santi si fanno in cielo».
Certo, una bella copertina però può essere un buon viatico.