La vera notizia è l’assenza di reazioni. La bocciatura italiana del Mes non ha avuto alcuna conseguenza sui mercati finanziari: spread praticamente immobile, Borse appena deboli, ma per ragioni che non hanno nulla a che fare con il Meccanismo Europeo di stabilità. È il segno che le priorità del momento sono lontane da quelle delle crisi del debito e delle banche di appena qualche anno fa. In più, dice Lorenzo Codogno, fondatore e capo economista della società di consulenza londinese Macro Advisors c’è da aggiungere un elemento: «Solo in Italia la questione ha assunto una coloritura politico-ideologica così accentuata. All’estero la questione è rimasta praticamente confinata all’ambito tecnico. Si tratta di uno strumento utilizzabile per risolvere crisi finanziarie e creditizie. Di questo e dei suoi dettagli si è discusso nel resto d’Europa».
Nella parte cosiddetta «salva-Stati» il nuovo Mes si proponeva di agevolare il sostegno ai Paesi in difficoltà rendendo più facile la ristrutturazione del debito. Così, però, sostengono i critici del trattato, la ristrutturazione sarebbe diventata fin troppo facile, al punto da diventare un pericolo per chi, come l’Italia, con un alto debito deve fare i conti. «Da questo punto di vista non cambia poi molto», dice Codogno. «Il vecchio accordo resta in vigore con le regole che ha avuto fin qui». L’Italia (come, pro-quota, gli altri Paesi) ha versato una dote di 15 miliardi a un fondo costituito per concedere prestiti e linee di credito precauzionali, comprare titoli di Stato del Paese in difficoltà. Altri soldi si è impegnata a mettere a disposizione in caso di necessità. In più l’Ems può emettere titoli e bond per finanziarsi.
Appena più complicate sono le conseguenze per le funzioni cosiddette «salva-banche» dell’intesa appena bocciata dal Parlamento. Qui l’Ems sarebbe intervenuto come «backstop» (il termine, non letteralmente, si può tradurre come «paracadute») per il Fondo Unico di Risoluzione. Quest’ultimo ha l’incarico di sostenere gli istituti di credito in crisi e ha risorse limitate. Una serie di accordi con gli Stati europei garantiva fino alla fine del 2023 una sorta di cuscinetto ulteriore fornendo risorse aggiuntive. Dal primo gennaio 2024 avrebbe dovuto intervenire, per l’appunto, il nuovo Mes, cosa che non accadrà. Resta dunque da risolvere il problema di come sostituire i soldi che mancheranno e servirà un nuovo accordo tra Stati. «Proprio le conseguenze politiche mi sembrano quelle più rilevanti», dice Codogno. «Il trattato era pronto da tempo e ci eravamo spinti molto avanti».
Per l’entrata in vigore mancava solo la ratifica della Penisola. Cosa che Paschal Donohoe, presidente dell’Eurogruppo si è subito affrettato a ribadire in una nota. «L’Italia rimane l’unico Paese che blocca una riforma per la quale ci siamo tutti impegnati nel 2021. Resta deplorevole il fatto che non siamo riusciti a realizzare il backstop, pietra miliare per il completamento dell’Unione bancaria».
Ma anche e soprattutto sulle banche si è concentrato il fuoco di chi ha votato per il no: «Il Mes rimane in piedi, è comunque un meccanismo di salvataggio degli Stati in difficoltà», ha spiegato nella trasmissione «Cinque minuti», il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari. «Il meccanismo non sarà esteso al salvataggio delle grandi banche perché all’Italia questo non serve. Il nostro sistema bancario è fra i più solidi dell’Europa e del mondo intero, e non abbiamo bisogno di salvare i grandi istituti di altri Stati».
Proprio due giorni fa la Bce aveva reso noto una sorta di classifica di rischiosità delle banche europee. Sei istituti erano finiti sul banco degli imputati. Tra di loro due francesi (Bnp Pairbas e Société Générale) e due tedesche (Deutsche Bank e Commerzbank), nessuna italiana.