Trentatré miliardi e mezzo sono quattro volte abbondanti la popolazione mondiale, dall’Afghanistan allo Zimbabwe. Ma sono anche gli utenti che ogni anno visitano il sito di PornHub, il più grande aggregatore di video pornografici che c’è. Dati dell’anno di grazia 2018, l’ultimo in cui l’azienda canadese si è degnata di sciorinare qualche numero prima di essere travolta da numerosi scandali, per cui è anche assai probabile che nel frattempo – con il Covid-19 che ha costretto la gente a casa e ha scoraggiato i contatti fisici e altre amenità – i numeri siano di molto aumentati. Ma basta e avanza il porno prepandemia: ebbene, non c’è bisogno di avere 8 in matematica per capire che ciascuno dei fan della videoteca a luci rossi online abbia digitato l’indirizzo del sito più e più volte in quei dodici mesi di voyeurismo per far salire in modo così demograficamente sproporzionato quel dato. E non ci si può non chiedere: sono davvero tutti maggiorenni, quei trentatré milioni (e mezzo) di guardoni? Rispondere è inutile.
Due conti e due domande se li sono fatti anche i più sagaci dipendenti della Commissione europea, che hanno deciso di inserire PornHub, assieme ad altri due seguitissimi siti del ramo, Stripchat e XVideos, nella lista delle piattaforme online sottoposte a controlli rafforzati nel quadro della nuova normativa del Digital services act. Si dà il caso che in questa «red list» di piattaforme attenzionate rientrino automaticamente tutti i servizi online che raggiungono i 45 milioni di utenti medi mensili nell’Unione europea, soglia che li designa come «Very Large Online Platforms», per gli amici Vlop. Lo scorso 25 aprile la Commissione Ue aveva diffuso una prima lista con 17 piattaforme (tutte i colossi della rete, da Amazon a Booking, da Facebook a Instagram, da Linkedin a TikTok e YouTube) e due motori di ricerca (Bing e Google Search) che per la loro natura «virale» devono essere sottoposti a controlli più stringenti in modo da assicurare un ecosistema digitale che tuteli degli utenti.
Ma i grandi distributori gratuiti di contenuti sessuali online dovranno anche attivarsi per adottare entro quattro mesi misure specifiche per responsabilizzare e proteggere gli utenti online, in particolare i minori, nonché valutare e mitigare in modo debito i rischi derivanti dai loro servizi. Le piattaforme infatti agiscono semplicemente consentendo la condivisione di contenuti prodotti da altri, ciò che li ha esposte a numerose denunce per aver diffuso contenuti riguardanti sesso con minori o abusi: per questo è fondamentale analizzare i rischi relativi alla diffusione di contenuti illegali che costituiscano una minaccia ai diritti fondamentali della persona.
Il rafforzamento delle misure di protezione verso i minori comporta inoltre la necessità per le tre piattaforme di progettare i propri servizi in modo da prevenire rischi per il benessere dei bambini e di impedire ai minori di accedere a contenuti pornografici online, anche attraverso strumenti di verifica dell’età più efficienti rispetto a quelli già esistenti. Pornhub è stata già oggetto negli ultimi anni di varie inchieste giornalistiche che portarono nel 2020 la MindGeek proprietaria del portale a cancellare sette milioni di video caroicati da utenti non verificati e nel 2022 all’azzeramento dei vertici aziendali dopo l’emergere di molte falle nella gestione dei contenuti a rischio.