Patto di stabilità, il sì a malincuore della Meloni: “Meglio del passato”. Ignari i ministri al Colle

Patto di stabilità, il sì a malincuore della Meloni: "Meglio del passato". Ignari i ministri al Colle

Sono da poco passate le 17 quando Sergio Mattarella sta per entrare nell’immenso Salone dei Corazzieri del Quirinale per la tradizionale cerimonia dello scambio di auguri con i rappresentanti delle istituzioni e della società civile. Tra le prime file, un ministro di peso e che ha una certa confidenza con il dossier, continua a manifestare evidenti perplessità sull’eventualità che l’Ecofin in corso proprio negli stessi minuti si concluderà con un accordo sulla riforma del Patto di stabilità. Anzi, ipotizza un nuovo rinvio, a metà gennaio. Di fatto, è la linea che Palazzo Chigi tiene ormai da qualche settimana e che ha ribadito al Consiglio Ue della scorsa settimana. Confermata – sempre al Colle, ma questa volta quando sono ormai passate le 18 e a cerimonia conclusa – da un altro ministro di prima fascia. Che mentre è nel cortile del Palazzo del Quirinale, ormai a pochi metri dal portone, dubita del cronista che gli chiede un commento sul via libera appena arrivato dall’Ecofin. «Ma figuriamoci…», sorride. Salvo poi arrendersi davanti ai flash d’agenzia mostratigli sullo smartphone.

Questa la cronaca della giornata. Che racconta di un corto circuito nelle fila del governo. O i due hanno dissimulato alla perfezione e senza la minima incertezza, oppure durante la riunione da remoto dell’Ecofin – «non ho niente contro le videoconferenze, ma anche no a chiudere via video un accordo che condiziona l’Italia per anni», aveva detto un non troppo profetico Giancarlo Giorgetti ad Atreju – qualcosa non è andato come si aspettava Palazzo Chigi. Certo, che a Bruxelles il clima delle ultime 48 ore fosse più disteso non è un mistero, come pure non è un segreto che il governo italiano non ha molto gradito l’accelerazione di martedì di Germania e Francia, con i rispettivi ministri delle Finanze – Christian Lindner e Bruno Le Maire – che hanno dato pubblicamente per fatto l’accordo, facendo per giunta sapere che anche l’Italia era sulla stessa linea. Per Giorgia Meloni non tanto un problema di merito (su cui in effetti l’intesa è sostanzialmente stata raggiunta da giorni) quanto di forma. Con Berlino e Parigi che hanno voluto far pesare il ruolo in Ue dell’asse franco-tedesco.

Appena le agenzie battono il via libera dell’Ecofin, arriva a stretto giro il plauso di Berlino, Parigi e dei vertici delle istituzioni europee («decisivo il contributo dell’Italia», dice il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni). La Lega è inaspettatamente la prima ad applaudire all’intesa, mentre Fdi temporeggia. Le prime dichiarazioni di Fratelli d’Italia parlano di «compromesso», lo stesso termine che userà Meloni in una nota che arriva quando sono ormai le nove di sera: «Un compromesso di buonsenso». E ancora: «Nonostante posizioni di partenza molto distanti, il nuovo Patto risulta per l’Italia migliorativo rispetto al passato», con «meccanismi graduali di riduzione del debito e di rientro dagli elevati livelli di deficit del periodo Covid». La clausola transitoria triennale 2025-2027, infatti, prevede di tenere in considerazione l’aumento degli interessi sul debito nel calcolo del taglio del deficit. E permette a Parigi e Roma di rinviare la maggiore rigidità al 2027 (quando si voterà per le presidenziali in Francia e quando terminerà la legislatura in Italia).

Insomma, mentre al Quirinale diversi ministri si scambiano gli auguri convinti di un rinvio, Meloni e Giorgetti – dopo ripetuti contatti – decidono di mettere da parte la minaccia del veto e danno l’ok. La premier sente anche Matteo Salvini, ma è probabile che l’argomento della conversazione sia soprattutto il Mes. Oggi si riuniscono i capigruppo di maggioranza della commissione Bilancio della Camera e si capirà se c’è l’accordo per una ratifica ineluttabile. A ieri sera, in casa Lega giuravano ancora di essere pronti a votare «no».

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