Da Zygmunt Bauman a Goffredo Bettini, la sinistra chiama a raccolta i guru di ieri e le eminenze grigie di oggi per fermare il progetto dell’elezione diretta del presidente del Consiglio.
Il non detto è che dem e compagni d’opposizione sono privi dei numeri sufficienti per incidere in Parlamento sulla grande riforma dell’assetto istituzionale, quella che intende trasferire agli elettori la scelta vincolante del leader esecutivo del Paese. Pertanto, a loro non resta che lanciare un flebile richiamo della foresta utile a destare un fronte progressista sfilacciato e diviso. Forse da quelle parti i destinatari dell’appello non sono numerosi come una volta, se l’ex segretario dem Nicola Zingaretti (nella foto) si deve appellare bonariamente addirittura alla stessa maggioranza. «Non tutti seguiranno questa deriva sul premierato» vaticina intervistato da Repubblica. Ed è su questo punto che cita Bettini sul «ritorno di un riflesso d’ordine della destra italiana».
È già difficile il dialogo tra la maggioranza di centrodestra e una variegata opposizione dove i centristi annaspano per distinguersi da un Pd radicalizzato, un M5s sfascista sui conti pubblici e un’ala estrema che metabolizza Hamas ma non digerisce la Casa Bianca. Nessuna convergenza sarà possibile fino a che, anche dal punto di vista semantico, resterà un fossato sull’interpretazione del concetto di «ordine». In una visione liberale, l’ordine è il conferimento essenziale di libertà individuale allo Stato per garantire una convivenza civile e regolata tra i cittadini. Per questa sinistra, invece, l’ordine è un «riflesso», un tic del passato che sottintende sempre «svolta autoritaria», «uomo (donna) forte» e il solito armamentario antifascista. Questa sì, è una deriva improduttiva e fuori dal tempo. Con un po’ d’impegno il Pd potrebbe farcela da solo, senza chiudere aiuto alla maggioranza.