Il Deep State si è messo in movimento. E ancora una volta cerca di far fuori l’unico presidente della vera America. Per i seguaci di Donald Trump la sentenza della Corte Suprema del Colorado non è altro che l’ennesimo colpo basso contro l’interprete degli autentici valori del Paese. E se gli strateghi della campagna trumpiana avevano paura che il facile successo del loro candidato alle primarie rendesse più tiepido l’atteggiamento dei suoi simpatizzanti fino ad allontanarli dal voto, eccoli serviti. L’ex presidente ha saputo fare del ruolo di vittima un formidabile strumento di marketing: i quattro rinvii a giudizio, i 91 capi di accusa si sono fin qui trasformati in valanghe di consensi. Tutto fa pensare che anche questa volta possa andare così. Se ne è avuta prova nella prima giornata successiva alla notizia. I primi a innalzare (costretti dalle circostanze) un monumento a Donald sono stati i suoi rivali nella campagna delle primarie. Due nemici come il governatore della Florida Ron de Santis, quotidianamente preso in giro da Trump, non ha potuto esimersi. Lo stesso ha fatto Chris Christie, ex governatore del New Jersey, che in passato ha detto più volte che Trump era ormai «unfit» per l’incarico di presidente. Tutti e due hanno dovuto esporsi pubblicamente per dire che non può essere un pugno di giudici a stabilire chi può candidarsi e chi no. Uno degli avversari dell’ex inquilino della Casa Bianca, il meno ostile, Vivek Ramaswamy, ha dichiarato addirittura che se Trump non potrà presentarsi in Colorado, nemmeno lui lo farà. Nel frattempo anche la raccolta fondi del candidato «squalificato» non potrà che giovarsi della situazione. Ieri, subito dopo la notizia dell’esclusione, lo slogan della campagna suonava come un grido di battaglia: «Ci hanno fatti fuori dal voto, dobbiamo combattere». Che poi le cose vadano davvero così e Trump rimanga escluso dai giochi è tutto da dimostrare: l’immancabile ricorso alla Corte Suprema bloccherà di fatto l’operatività della decisione. Quanto al verdetto finale tutte le possibilità sono aperte. E non mancano i timori per il nuovo ruolo da protagonista del maggiore organo giurisdizionale statunitense. In tempi recenti, era il 2000, si trovò a decidere il contestato ballottaggio in Florida tra George W. Bush e Al Gore. Il procedimento tenne l’America con il fiato sospeso e bloccò la politica americana per settimane. Dopo la decisione il fair play tra i due contendenti contribuì a far scemare la tensione. Ma l’America di oggi è molto più divisa, e forse peggiore, di 20 anni fa.