Lo spauracchio dell’ennesimo ingiusto processo fa capolino nella tragica vicenda della povera Giulia Cecchettin, la ragazza uccisa dal fidanzato Filippo Turetta. Un processo che sembra già scritto, in sfregio ai diritti del ragazzo, tanto che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia ha dovuto dichiarare l’ovvio, in questo orrendo clima perennemente forcaiolo e panpenalista: «Dobbiamo garantire, come prevede il codice di procedura penale, i diritti dell’indagato, la serenità alle parti. L’indagato non si deve sentire condannato, prima che i fatti vengano accertati nei modi e nei tempi previsti dalla Costituzione. È un fatto di civiltà a cui tutti dovremmo riferirci».
Una chiosa su cui si è interrogata la Giunta dell’Unione delle Camere Penali, che ha elaborato un documento scritto assieme all’Osservatorio Doppio binario e giusto processo. Un testo sofferto, che Il Giornale ha avuto modo di leggere. E che interroga tutti quelli che hanno a cuore la giustizia. E che fa riferimento a un’altra vicenda già incardinata in un processo, quello per presunta violenza sessuale a carico di Ciro Grillo in corso al Tribunale di Tempio Pausania. Un procedimento ugualmente mediatico, ragionano gli autori del testo, su cui si sono accesi i riflettori perché tra gli imputati è presente il figlio del fondatore del Movimento Cinque Stelle. Cosa unisce questi due procedimenti? Una presunzione di colpevolezza. Che va anche oltre: «Si insinua nel contesto sociale l’idea che nei processi in cui si tenta di accertare la sussistenza di fatti corrispondenti ad ipotesi di violenza sessuale, sia necessario – al fine di proteggere le vittime dei reati – introdurre regole di svolgimento del giudizio diverse e distoniche da quelle pur previste dal codice di rito e quindi utilizzate in tutti gli altri processi». Il documento fa riferimento alle polemiche sulle dichiarazioni dei legali di Grillo e degli altri imputati dopo alcune domande «sconvenienti» poste alla ragazza che ha denunciato la violenza. «Ci si propone di superare queste regole – recita la nota della Giunta e dell’Osservatorio – e di limitare il diritto di difesa, introducendo un sistema che in conseguenza del dato di allarme sociale, non si limiti a codificare nuove regole di contrasto al fenomeno, mediante una più penetrante e sollecita attività di polizia, ma abbia una sua corsia autonoma di tipo emergenziale, anche all’interno dell’istruttoria dibattimentale».
Eccolo, il rischio. Un doppio processo, un doppio binario. Entrambi ingiusti, verrebbe da dire. Perché se è lecito stare sempre e comunque con le vittime di reati così odiosi, il ragionamento che emerge è straziante: «Nessun imputato di violenza sessuale, per il solo fatto di essere accusato di quel delitto, può essere considerato colpevole. E, di conseguenza, per quanto impopolare possa apparire tale affermazione, nessuna persona offesa può essere considerata certamente vittima di una violenza sessuale per il solo fatto di avere sporto una querela, per quanto orribile il fatto rappresentato possa risultare». Eccolo, il cuore del problema. «È proprio la gravità dell’accusa che viene rivolta ad un cittadino che impone, infatti, di assegnargli il diritto di difendersi secondo le regole e i principi del nostro codice». Un eventuale doppio binario, tenero con le presunte vittime e durissimo con i presunti carnefici, sarebbe una doppia, drammatica ingiustizia. Perché, e la statistica sul dramma della malagiustizia ce lo ricordano sempre, «un infamante ma infondata accusa si trasformerebbe nella tragedia di un innocente ingiustamente condannato». E ne abbiamo visti fin troppi.