A Lecce, Sud del profondo Sud, è esplosa una polemica che astraendo dal caso personale aiuta a capire molto il livello culturale del Paese. Il rettore dell’università del Salento (del quale non faremo il nome proprio perché vogliamo rendere universale il particolare: diciamo solo che è un simpatico napoletano, di valore, politicamente bizantino) ha chiesto, attraverso il Consiglio di amministrazione, di aumentare gli stipendi del prorettore, del quadro dirigenti e la propria indennità di servizio, portandola da 25 a 120mila euro. La motivazione che non possiamo non condividere è che «le responsabilità amministrative siano adeguatamente retribuite».
Ovviamente è tutto a norma di legge. Ma secondo gli standard di un malinteso populismo applicato all’Istruzione, la proposta è stata contestata dalla Cgil e bocciata dal Senato accademico. Passo indietro del rettore. E tutto resta com’è.
Non vogliamo entrare nella querelle burocratica. Solo fare notare che 25mila euro significano, netti, 1.500, scarsi, al mese. Per un rettore che gestisce migliaia di studenti, centinaia di dipendenti, decine di docenti. Ha ragione lui a dire di voler tornare a fare il ricercatore, hanno ragione tutti i cervelli che fuggono all’estero e populismo per populismo – hanno ragione i ragazzi che invece di studiare sognano di fare gli influencer.
A proposito. Essendo la cultura il pane dello spirito, forse il rettore potrebbe pubblicizzare anche lui pandori. Deve solo aggiungerci lo zucchero a velo.