È stata eseguita all’alba di questa mattina, la condanna a morte di Samira Sabzian, la sposa bambina che si trovava in carcere in Iran da circa dieci anni ed era stata condannata alla pena capitale per avere ucciso suo marito. La donna è stata impiccata, nonostante nelle altre parti del mondo si sia fatto il possibile per salvarle la vita. A denunciare l’esecuzione, la Ong con sede in Norvegia “Iran Human Rights” che ancora una volta ha voluto far sentire la sua voce. Sabzian si era sposata quando aveva 15 anni e quattro anni dopo, nel 2013, aveva ucciso il coniuge. Da allora si trovava in carcere.
La denuncia della Ong
“Vittima per anni dell’apartheid di genere, dei matrimoni precoci e della violenza domestica – ha scritto su X il direttore della Ong Mahmood Amiry-Moghaddam – Samira oggi è stata uccisa della macchina omicida di un regime incompetente e corrotto, un regime che si è sostenuto esclusivamente assassinando e instillando paura”. Per il direttore dell’organizzazione a carattere umanitario, Ali Khamenei e gli altri leader della Repubblica islamica dovrebbero essere ritenuti responsabili di questo crimine. “Come altre vittime della macchina della morte del regime – ha continuato Amiry-Moghaddam – Samira era tra i membri più vulnerabili di una società senza voce. Una campagna di una settimana non è stata sufficiente per salvarla. Dobbiamo lottare ogni giorno per aiutare le migliaia di altre persone che rischiano di diventare vittime della macchina omicida per preservare la sopravvivenza del regime”.
La compagna di cella
Scossa l’ex compagna di cella di Samira, l’attivista iraniana Mozhgan Keshavarz, che ha trascorso quasi tre anni dietro le sbarre, per lo più nella famigerata prigione di Evin nella provincia di Teheran. “Samira è stata vittima della pratica dei matrimoni precoci – ha detto – e ho visto quanto ha sofferto in carcere per il fatto che le è stato negato l’accesso ai suoi figli”. La Repubblica islamica, in ogni caso, ha il più alto numero di esecuzioni pro capite al mondo.
I tentativi di salvare la vita a Samira Sabzian
Mahmood Amiry-Moghaddam aveva inutilmente cercato alleati per evitare l’esecuzione capitale di Samira Sabzian lanciando un appello a tutti i Paesi che hanno relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica, per chiedere di fermare l’impiccagione. Sabzian era stata costretta a sposarsi a 15 anni e quattro anni dopo, nel 2013, aveva ucciso suo marito. In arresto da allora, Sabzian aveva subito la condanna alla pena di morte e l’esecuzione era stata fissata per il 13 dicembre. Successivamente è stata rimandata al 20 dicembre, nel carcere di Qarchak, in provincia di Teheran.
L’ultimo incontro con i figli
La scorsa settimana, prima dell’esecuzione in programma, la donna ha potuto incontrare i suoi due figli per la prima volta da quando è stata incarcerata. Secondo il codice penale della Repubblica islamica, coloro che sono accusati di omicidio vengono condannati a morte, a prescindere dalle circostanze in cui il fatto è avvenuto. La famiglia della vittima può scegliere se accettare la pena capitale o chiedere un compenso finanziario. Nel caso di Sabzian, i genitori del marito ucciso hanno chiesto che la pena di morte venisse eseguita.