«Israele è disposta ad entrare in un’altra pausa umanitaria per liberare gli ostaggi. Ora la responsabilità è di Hamas». Isaac Herzog scandisce le parole pronunciate poche ore prima a Tel Aviv davanti agli ambasciatori stranieri. E chiarisce, a chi gli chiede se questa sia anche la posizione di Benjamin Netanyahu: «Sono il capo dello Stato, quando parlo non parlo a caso. Non voglio entrare in dettagli, ma in generale potrebbe esserci un’altra finestra di opportunità». È la conferma che in guerra Israele è abituato a mettere da parte le divisioni politiche. Quindi, nessun dualismo del genere «falco-colomba» nel rapporto tra Herzog e Netanyahu, come in altri Paesi ci si potrebbe aspettare dalla convivenza tra un premier di destra e un presidente (per quanto contenuto sia il suo ruolo) che è stato leader dei Laburisti. Semmai, Herzog ha a tratti pronunciato parole ancora più dure di quelle del suo primo ministro.
Come quando, all’inizio dell’invasione di terra di Gaza, Herzog sembrò quasi invocare una punizione collettiva per i civili palestinesi. «C’è un’intera nazione responsabile», disse, definendo falsa la «retorica sui civili ignari» delle azioni di Hamas. Ora, in un colloquio organizzato dall’Atlantic Council, al quale ha partecipato anche il Giornale, il presidente israeliano aggiusta il tiro. «Il nostro nemico non è la gente di Gaza, il nostro nemico è Hamas» e le sofferenze di ogni civile palestinese «sono per me un dolore». Ma Herzog rifiuta le accuse che Israele stia conducendo una campagna di bombardamenti indiscriminati, come neanche troppo velatamente ha lasciato intendere Joe Biden la scorsa settimana. Il presidente israeliano evita di nominare il capo della Casa Bianca, ma non di meno respinge al mittente i commenti. «Non è vero che facciamo bombardamenti indiscriminati», dice elencando tutte le cautele che Israele mette in campo prima di colpire: dai messaggi ai civili, ai volantini, agli avvertimenti prima degli attacchi. Quanto alle informazioni che provengono da Gaza, anche da parte delle agenzie Onu, «non sono molto accurate, per non dire di peggio». «Sfortunatamente – spiega – in un’area così densamente popolata possono esserci danni tragici».
Così come tragica è stata l’uccisione da parte dell’Idf, dei tre ostaggi israeliani che sventolavano un panno bianco. «Piangiamo come nazione – dice – l’incidente andrà indagato e studiato, chiaramente è stato un grave errore». Ma, di fronte alle accuse che le regole di ingaggio dell’Idf in questa campagna siano troppo spregiudicate, Herzog ribatte: «Prima di tutto, mi fido dell’esercito di Israele. È composto dai nostri figli e dalle nostre figlie. Mi fido dell’esercito e del fatto che faranno tutto il possibile per impedire che si ripeta. C’è un vecchio detto ebraico: non giudicare mai nessuno prima di essere andato a casa sua. Quel terreno, Gaza, è estremamente pericoloso. È pieno di trappole». E racconta di combattenti di Hamas che si sono finti ostaggi fuggiti dai tunnel, per attaccare i militari di Israele.
Di nuovo, viene chiesto a Herzog come possano conciliarsi l’obiettivo di salvare i rimanenti 129 ostaggi e quello principale di eliminare Hamas. «Credo che vadano in parallelo. Il fatto che siamo entrati a Gaza ha condotto a dei negoziati e abbiamo riportato indietro 121 ostaggi. Ora dobbiamo fare un altro sforzo». Ma, ripete, «l’intera responsabilità ora ricade su Sinwar e i suoi». Però, chiarisce, «non intendiamo fermare il nostro attacco per distruggere le capacità militari di Hamas e la sua abilità di governare Gaza. Vogliamo cambiare il corso della Storia. E se si rifiutano di accettare un negoziato per uno scambio di prigionieri e ostaggi, continueremo senza limiti».