«Io di voi non mi fido» aveva detto Matteo Renzi ai pm di Firenze; «fa bene a non fidarsi», gli avevano risposto loro. Ed ecco che ieri la reciproca dichiarazione di ostilità si traduce nella sua prima conseguenza concreta: la requisitoria che il pm Luca Turco pronuncia nei confronti dei genitori dell’ex presidente del Consiglio, Tiziano Renzi e Laura Bovoli, imputati nell’indagine che da ormai nove anni viene condotta contro di loro dalla Procura del capoluogo toscano. E che ha segnato l’inizio dello scontro tra Renzi e la magistratura.
Ora si avvia a conclusione il processo ai genitori di Renzi, che in un ruolo minore vede accusata anche la sorella minore del leader di Italia Viva, Matilde. Per papà e mamma Renzi il pm Turco chiede cinque anni di carcere, per Matilde dieci mesi; richiesta di condanna anche per dodici degli altri tredici imputati. Le accuse di bancarotta fraudolenta e fatture false ruotano intorno a tre cooperative di volantinaggio, la Delivery Service, la Marmodiv e la Europe Service, andate in dissesto anni fa. Per queste accuse quattro anni fa la Procura aveva chiesto e ottenuto di mettere gli anziani genitori di Renzi agli arresti domiciliari, sollevando le ire dell’ex premier: «Mi sento responsabile per il dolore dei miei genitori, dei miei fratelli, dei miei figli e dei miei nipoti. I dieci nipoti sanno però chi sono i loro nonni», scrisse Renzi. Il provvedimento era stato poi annullato dal tribunale del Riesame. Poco dopo Turco aveva chiesto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati, e ieri il processo arriva alla requisitoria finale.
Fin dall’inizio delle indagini, il crescendo delle polemiche è stato costante, con Renzi convinto dii essere il vero bersaglio delle indagini: il padre e la madre, secondo il leader di Italia Viva, sarebbero vittime di una vendetta trasversale ai suoi danni, operata da una magistratura politicizzata. Della stessa dinamica sarebbe stato vittima suo cognato Andrea, indagato da Turco con l’accusa di avere sottratto soldi Unicef destinati all’Africa e prosciolto dopo sette anni. «Prima o poi qualcuno capirà che cosa è successo alla mia famiglia in questi anni», disse allora Renzi, spiegando che quanto accadeva lo spronava «sempre di più a non abbandonare la grande sfida per una giustizia giusta».
Sullo sfondo della vicenda, la militanza storica del procuratore aggiunto Luca Turco in Magistratura democratica, la corrente in prima fila nelle battaglie contro gli interventi sul fronte giustizia del governo Renzi. Anche la decisione di Turco e del suo sostituto Antonio Nastasi di incriminare direttamente lo stesso Matteo Renzi per la vicenda Open è stata considerata parte integrante di questo assedio per via giudiziaria: l’avvio dei procedimenti disciplinari da parte del ministro della Giustizia Carlo Nordio nei confronti dei due pm è stata per Renzi la conferma di non avere avuto le traveggole.
Nelle carte dell’indagine fiorentina, Tiziano Renzi e la moglie sono accusati di avere tenuto a galla la loro società Eventi passata rapidamente da un fatturato di un milione a sette milioni – scaricando gli oneri previdenziali su cooperative che fornivano la manodopera, e che sotto il peso dei costi andarono una dopo l’altra in default.