Gerusalemme Orrore segue orrore quando si parla di Hamas. Quando per esempio la Cnn intervista il direttore di un ospedale, ne ricava notizie inequivocabili che in genere creano un’ondata di rabbia a senso unico: parlano dei morti e feriti che la guerra provoca ed è sempre colpa dell’esercito israeliano. Ogni vita, ogni ferito è una tragedia: ma chi ne racconta? È diverso se d’un tratto si capisce che il direttore dell’ospedale Kamal Adwan di Jabalya è anche un generale di Izzadin al Kassam, l’ala più feroce di Hamas. Si chiama Ahmed Hassan Kahlot, nel suo ospedale erano stati arrestati 90 terroristi operativi, dice Tsahal, fra cui diversi hanno partecipato ai massacri del 7 ottobre, e la loro cattura è avvenuta fra armi automatiche, lanciagranate, ordigni esplosivi tutto nascosto dentro l’ospedale.
Dalla deposizione di Kahlot, un uomo non giovanissimo, concentrato e diretto, esce il ritratto più vero di Hamasland, un piccolo stato nazificato dove non c’è istituzione, anche quella per definizione più umanitaria, che non sia una sentina di crudeltà e paura. Kahlot racconta di far parte di Hamas dal 2010, di esserne un alto grado militare. Gli ufficiali di Hamas si servono del suo ospedale per nascondersi e preparare azioni; se si nascondono, hanno là delle stanze che usano per una decina di giorni, e poi cambiano nascondiglio: «L’ospedale è un posto sicuro, qui non li colpiscono»; ultimamente, dice, ci sono stati fino a cento armati fissi dentro l’ospedale. In genere hanno ruoli fasulli fra i dottori, i paramedici, i portantini, ne ha contati 16. Hamas è ovunque, ha uffici, depositi, stanze di emergenza interna e speciale, linee telefoniche proprie. Vi stazionano due comandanti importanti, Majdi Abu Amcha e Majud Al Masri, un volto militare e anche politico dell’organizzazione.
I terroristi dispongono di ambulanze private, testimonia Kahlot, senza numero e con colori speciali, le usano per sé, e adesso per spostare un soldato rapito, e cadaveri. Kahlot ha chiesto di usare le auto per trasportare feriti, ma la risposta è stata «no». Perché? «Avevano cose più importanti di aiutarci portare i feriti». Alla fine Kahlot definisce «codardi» i suoi capi: è sincero, o cerca la simpatia degli israeliani? «Loro scappano, si nascondono, ci hanno lasciato sul campo, noi paghiamo il prezzo». È un pensiero diffuso: lo è fra la gente affamata che assalta i camion di aiuti, fra chi prende la strada del Sud quando gli israeliani avvertono di andarsene e Hamas li trattiene.
Insomma, Hamas semina una storia repellente: l’ospedale trasformato in base per terroristi, i malati in scudi umani, gli armati travestiti da medici; le bambole che piangono in ebraico per chiedere aiuto e poi esplodere sui soldati; le donne con le cinture di tritolo; un uomo di 74 anni che è saltato per aria mentre andava verso i soldati; le mitragliatrici e il tritolo nella camera dei bambini, le moschee, le scuole dell’Unrwa, le case come coperture di gallerie buie e lerce per nascondersi, per scappare, per ficcarci i disperati ostaggi. Valigie di soldi negli appartamenti, i capi all’estero a godersi la vita mentre i gazawi restano nel fango dell’inverno e Sinwar è sotto terra.
È Gaza stessa che grida che cos’è Hamas. Ed è stupefacente che di fronte alla dura ma regolata condotta di un esercito che combatte per distruggere Hamas, ma non infierisce sui civili, si possa insinuare che i soldati di Tsahal se la prenderebbero con due donne in Chiesa. Se Tsahal fa un errore terribile, come per i tre rapiti uccisi, si muove anche il capo di stato maggiore per mettere sotto accusa i suoi. Adesso, anche monsignor Pizzaballa dichiara che forse c’erano cecchini di Hamas in zona. Resta certo solo che Hamas non ha un codice morale di comportamento, anzi, li viola tutti.