I giapponesi, si sa, sono specialisti di arti tutte loro, che non si trovano altrove. Tra esse quella del wabi-sabi, che consiste fondamentalmente nel cercare l’imperfetta bellezza, o meglio la bellezza dell’imperfezione. Esempio ne è il fiore di loto, che Matteo Zhu, nato a Biella nel 1996 da famiglia di ristoratori cinesi dello Zhejiang, ha scelto per il suo Waby, un elegante ristorante giapponese che si trova all’ombra dei grattacieli di Porta Nuova, a Milano. Un luogo che ha aperto meno di due anni fa ama che ha già conquistato molti consensi di pubblico e anche di critica. Il Gambero Rosso, per dire, nella guida ai Ristoranti d’Italia 2024 gli ha già conferito i due mappamondi, in una scala che vede a tre le assolute eccellenze della ristorazione che un tempo si definiva etnica. Ma i tre, di mappamondi, sono secondo me a un passo.
L’accoglienza è un punto forte del locale, tutto è improntato a una quieta ritualità, che dovrebbe condurre il cliente a una serenità ricercata anche negli interni eleganti e materici, studiati dall’architetto e scenografo Maurizio Loi per le tre sale del ristorante: la principale che all’interno guarda al bancone e all’esterno alla strada; la centrale, che si concentra su un piccolo privé; e la laterale, che si può isolare per eventi privati un po’ più affollati.
Ma naturalmente in un ristorante si viene principalmente per mangiare, possibilmente bene. Da questo punto di vista Waby mantiene decisamente le attese. Non c’è uno chef principale ma una brigata affiatata che gioca di squadra. È lo stesso Matteo a supervisionare il lavoro e a scegliere le materie prime di eccellenza, sulle quali si edifica una carta che corre su un doppio binario: la assoluta classicità giapponese, che quando è raggiunta è davvero di assoluta pulizia, e una ricerca di strade più innovative.
In carta i Kobachi, piccoli antipasti serviti in coppette, come i Black cod rolls e la Lobster salad, le Tartare (come quella di ricciola, salsa ponzu, jalapeno e coriandolo), i classici sushi, sashimi, cirashi e uramaki (il più apprezzato è l’Hotate jalapeno, una tartare di capasanta con tempura croccante, maionese al tartufo e una salsa al piccante peperoncino messicano), la Ribata, che è una tecnica di cottura tipicamente nipponica su carbone, che qui viene utilizzata per carne anche pregiata come la Wagyu, il pesce (astice) e anche per le verdure. Poi ci sono le creazioni, piatti per cui Waby conta di diventare celebre, come i Nori Crisps, alga nori in tempura, tonno, ricciola, togarashi e salsa al sesamo) e l’Hotate iberico, una millefoglie di capasanta con prosciutto iberico, jalapeno, coriandolo, salsa di miso e yuzu con dressing al coriandolo.
Per Capodanno e per tutte le feste, fino al 7 gennaio, Waby propone una piccola carta speciale Blossom, una serie di piccoli piatti (kobachi) in abbinamento allo Champagne (nel mio caso un Perrier-Jouët): tra essi ho assaggiato uno Special uni, un riccio di male galiziano con tartare di gambero rosso di Mazara del Vallo e Ikura; un tris di Ostriche Gillardeau con caviale Kaluga Amur in tempura, gambero rosso con shiso e Ikura. Poi una Composizione di dim sum cotti al vapore serviti nel cestino di bambu, ripieni di gambero, capasanta, calamaro, Wagyu con tartufo e verdura. Tutto di ottima qualità e con un servizio agile e gentile. Bella carta di vini e sake.
Waby, via Carlo de Cristoforis, 2 Milano. tel. 0283412987. Sito www.wabyrestaurant.it. Sempre aperto a pranzo e a cena