Giorgia Meloni ha più di una ragione per dire che la politica economica del governo è improntata «non all’austerità ma alla serietà». Che le casse dello Stato siano mezze vuote, si sa. Se poi diamo un’occhiata al debito i polsi cominciano a tremare. Solo che, purtroppo, al di là della razionalità c’è l’immaginario collettivo, le suggestioni di massa, cioè tutto ciò che poi concorre a determinare le reazioni dell’opinione pubblica. E un dato che colpisce è quello che ha registrato la maga dei sondaggi Alessandra Ghisleri: se per un certo periodo in cima alle preoccupazioni degli italiani c’era la sanità, il diritto alla salute, ora di nuovo è tornato in auge un vecchio chiodo fisso, che in politica ha fatto la fortuna di alcuni e la disgrazia di altri, cioè le tasse. Più la situazione economica si fa difficile, più è complicato arrivare alla fine del mese, più il ceto medio diventa povero e più la questione fiscale diventa centrale. È fatale.
E in questo anno elettorale il tema potrebbe condizionare non poco il voto visto che si andrà alle urne per l’Europa proprio nel periodo in cui gli elettori compileranno la dichiarazione dei redditi. Coincidenza di non poco conto, dalle conseguenze imprevedibili secondo la Ghisleri. Ora non è che il governo non si sia adoperato sulla materia. Bisogna però verificare se quegli sforzi sono stati avvertiti dall’opinione pubblica o meno, se cioè sull’argomento che è al centro della constituency del centro-destra gli elettorati di riferimento della coalizione di governo si sono accorti di un cambiamento rispetto al passato o no. Ad esempio, per mantenere il taglio del cuneo l’esecutivo ha messo quasi dieci miliardi sul piatto. Non è poco. Solo che di fatto l’investimento serve a mantenere lo «status quo», cioè a dare una continuità ad un intervento che è partito addirittura da Draghi. Quindi si tratta di un’operazione che porterà poco nelle tasche degli italiani. Semmai l’impegno lodevole del governo è stato evitare che perdessero qualcosa. Anche l’intervento sulle aliquote favorirà soprattutto i redditi tra i 28mila e i 50mila euro, ma di fatto al massimo metterà nelle tasche di quei fortunati non più di 260 euro l’anno. E non dimentichiamo che quelli che superano i 50mila euro, e arrivano all’aliquota del 43%, non hanno preso niente e non sono ricchi sfondati visto che hanno un mensile che supera di poco i 2500 euro. Si tratta, appunto, del ceto medio rimasto orfano di una rappresentanza.
Infine c’è la rottamazione delle cartelle esattoriali che per lo Stato serve, soprattutto, a far cassa.
Ora di tutti questi interventi l’elettorato di riferimento del centro-destra si accorgerà o no? È questa la scommessa. Certo è che nelle ultime settimane i due partiti che più hanno nel loro Dna il tema fiscale, cioè Forza Italia e la Lega, hanno perso qualche punto nei sondaggi. Tutto questo per dire che presto o tardi il governo, se non vorrà perdere pezzi del suo elettorato dovrà osare. E avrà bisogno dei suoi uomini migliori. Tra i tanti boatos che girano c’è anche quello che inserisce tra i candidati alla Commissione Europea il nome di Giancarlo Giorgetti. Personalità che sarebbe sicuramente all’altezza solo che in una fase così delicata la premier sbaglierebbe a privarsene al ministero dell’Economia. Anche perché immaginate cosa potrebbe chiedere Matteo Salvini se non avesse più la remora di dover litigare con un esponente della Lega in quel ruolo.