Nel mio recente libro How to Survive a Crisis analizzo la natura delle crisi moderne, comprese quelle derivanti dal mondo digitale. Mi baso sulla mia esperienza di supporto ai governi britannici in tempi buoni e cattivi, ma sottolineo che sono ormai in pensione e che le opinioni espresse sono mie in quanto accademico e non devono essere considerate come opinioni del governo britannico.
Non possiamo sapere nel dettaglio come noi, i nostri figli e nipoti saranno messi alla prova nei prossimi anni.
L’intelligence britannica è ancora di livello mondiale ma, per quanto brava, non può rispondere a domande impossibili. Nel mondo dell’intelligence chiamiamo queste domande “misteri” e non “segreti”, che possono essere scoperti se la tecnica di intelligence è sufficientemente buona. Il nostro futuro sarà governato dall’esito di misteri quali:
Donald Trump sarà nominato e poi eletto nuovamente Presidente e quali saranno le conseguenze per l’Ucraina e la sicurezza europea?
La Cina tenterà di reintegrare Taiwan entro il 2050, anniversario della rivoluzione, se necessario con la forza, e questo significherebbe una grande guerra tra Stati Uniti e Cina?
L’UE sopravviverà fino al 2050, viste le tensioni al suo interno tra il nazionalismo populista di destra del tipo Victor Orban/Robert Fico e la necessità di una solidarietà collettiva europea per quanto riguarda le relazioni con la Russia e, soprattutto, la futura immigrazione di massa attraverso il Mediterraneo dovuta al cambiamento climatico?
Ci sarà una seconda “guerra civile” americana, quando alcuni Stati cercheranno di mantenere i propri codici costituzionali e legali sfidando il governo federale e la Corte Suprema? Alcuni cittadini statunitensi stanno già scegliendo dove vivere e mettere su famiglia in base alle leggi in cui desiderano vivere.
Sono domande importanti per la nostra sicurezza nazionale alle quali non possiamo ancora rispondere. Ma ci sono alcuni sviluppi futuri di cui possiamo essere più certi. Pensiamo, ad esempio, a come sarà il mondo, diciamo nel 2050?
Ho scelto il 2050 perché è a metà dell’attuale XXI secolo. Mancano 27 anni. Ora, come esperimento di pensiero, lavoriamo a ritroso di 27 anni a partire da oggi. Questo ci porta al 1996. Ero direttore del GCHQ di Cheltenham, l’agenzia britannica per l’intelligence dei segnali e la sicurezza informatica, successore di Bletchley Park. Stavo lanciando un importante programma di cambiamento per prepararmi alla rivoluzione digitale che cominciavamo ad immaginare all’orizzonte. Il principio delle comunicazioni attraverso le reti a commutazione di pacchetto era stato stabilito e l’anno precedente era stato raggiunto un accordo internazionale sui protocolli per farlo funzionare, come l’IP Internet Protocol e il BGP, il border gateway protocol. Ma nel 1996 Google non esisteva. L’iPhone era lontano 7 anni e il tablet o iPad 11 anni nel futuro. Il concetto di app su dispositivi mobili e di social media era avanti di vent’anni. Il DNA umano non era ancora stato sequenziato. E guardate dove siamo ora, 19 anni dopo, nel 2023.
Ora iniziate a immaginare rivoluzioni tecnologiche paragonabili che potrebbero apparire da qui al 2050, che vi ricordo è solo tra 19 anni.
Quando OpenAI ha lanciato GPT-1, nel 2018, aveva 117 milioni di parametri. Si pensa che GPT-4 ne abbia più di mille miliardi. I modelli “a scala cerebrale”, con più di 100 trilioni di parametri – all’incirca il numero di sinapsi del cervello umano – saranno tra noi entro il 2050. La bioingegneria si sta muovendo a un ritmo simile: la combinazione di IA e bioingegneria creerà meraviglie mediche e anche rischi biologici potenzialmente inimmaginabili nelle mani di Stati canaglia e terroristi.
Oltre agli sviluppi della tecnologia digitale, tra cui l’informatica quantistica, c’è un’altra area in cui possiamo immaginare la vita nel 2050: l’effetto del cambiamento climatico. Assisteremo a ondate di calore letali, incendi selvaggi, desertificazione, innalzamento del livello del mare, instabilità politica, interruzioni dell’approvvigionamento alimentare, eventi meteorologici estremi, perdita di biodiversità, estinzioni di massa, collasso ecologico – nel complesso dobbiamo aspettarci entro il 2050 conflitti, sconvolgimenti socioeconomici e senza dubbio migrazioni di massa attraverso il Mediterraneo. Immaginate se queste persone disperate diventassero gruppi armati?
È difficile non credere che stiamo entrando in decenni di crisi più numerose e più profonde rispetto al nostro passato. Questo non significa sottovalutare i dati storici, le devastanti pestilenze, i terremoti e le guerre del XX secolo. Eventi simili si verificheranno anche in futuro.
Ma la differenza è che tutte le nostre società stanno diventando più vulnerabili alle perturbazioni che mai. I sistemi da cui dipende la vita quotidiana sono più complessi e connessi. Le catene di approvvigionamento e le infrastrutture nazionali dipendono dalla tecnologia dell’informazione, dai dati e dalla connettività Internet. Entro il 2050 ci saranno 24 miliardi di dispositivi collegati a Internet. Viviamo in società che si basano sui dati per il loro funzionamento efficiente, ma la resilienza delle informazioni è debole e stiamo creando “città intelligenti” che presentano nuove vulnerabilità.
Il mio libro parla di come sopravvivere a questi futuri. Quando si pensa a come prepararsi a questi cambiamenti tanto drastici quanto improvvisi, è utile distinguere tra emergenze, crisi e disastri.
Le emergenze si verificano continuamente nel mondo delle imprese, nel governo e nelle famiglie. Si gestiscono adattando i propri piani e chiedendo aiuto, anche ai servizi di emergenza, telefonando al 115. Le emergenze causano vittime, danni e dolore. Ma la gestione degli eventi è almeno in parte sotto controllo.
Le crisi sono diverse. Un cinico potrebbe dire: non sei tu a gestire una crisi, è lei che gestisce te. Non avete il controllo: ecco cosa significa essere in crisi. Sapete che state andando incontro a una crisi quando gli eventi che state cercando di risolvere si accumulano più velocemente di quanto le vostre risposte riescano a fare. Si applica il “test delle leve di gomma”. Ogni leva che viene tirata per cercare di stabilizzare la situazione sembra essere scollegata dalla realtà sul campo. Continuano a sorgere nuovi problemi. La situazione rischia di andare fuori controllo.
Trovarsi in una situazione fuori controllo fa molta paura. Soprattutto per i leader che sono abituati ad avere il controllo, a dare ordini e a organizzare la loro giornata per affrontare le priorità che hanno scelto. Ora sono gli eventi a dettare loro le priorità.
Da qui i comportamenti aberranti a cui spesso assistiamo di fronte alle crisi: negazione dell’esistenza di un problema reale; ritardi – richiesta di ulteriori prove; ottimismo irrealistico; attività di dislocazione per apparire impegnati. Tutto tranne che affrontare la situazione e prendere decisioni politicamente difficili. Nel Regno Unito è in corso un’inchiesta pubblica sulla gestione britannica della Covid-19. Le udienze sono inquietanti. Le udienze sono inquietanti. Riconoscerete ciò che sto descrivendo se cito l’esperienza italiana di Bergamo, e come quella provincia sia diventata (secondo le parole del New York Times) uno dei campi di sterminio più letali per il virus nel mondo occidentale, con accuse di gestione sbagliata e ritardi burocratici.
Pensate quindi a una crisi come a una via di mezzo tra un’emergenza e un disastro. Se abbiamo individuato i potenziali problemi e investito a monte in preparativi ragionevoli e piani flessibili, e soprattutto li abbiamo esercitati, dopo un breve periodo possiamo trasformare la crisi in situazioni di emergenza per le quali, con un po’ di improvvisazione, possiamo mettere in campo la nostra esperienza e capacità. Sarà ancora dura. Ma avremo riaffermato il controllo.
Ma se non abbiamo previsto questa possibilità (o, come spesso accade, abbiamo ignorato i segnali d’allarme), allora non avremo costruito la necessaria resilienza nei nostri sistemi. E la catastrofe si preannuncia, soprattutto se, come può accadere, ci troviamo ad affrontare crisi concomitanti. Possiamo anche vedere che in circostanze complesse, le risposte che dobbiamo adottare – come le serrate e la chiusura delle frontiere in caso di pandemia – possono prolungare la crisi.
Ho potuto constatare di persona, da vicino, come la percezione dell’opinione pubblica circa la capacità di un governo democratico di guidare una crisi sia cruciale per la sopravvivenza politica. Ai primi segnali di crisi, i governi devono dimostrare di essersi mobilitati e di essere spietatamente concentrati. A differenza di Boris Johnson per la pandemia da Covid-19, i Primi Ministri non dovrebbero mancare alle prime riunioni di crisi perché pensano che ci siano cose più importanti che stanno accadendo altrove. Quelle cose potevano essere le più importanti prima dell’arrivo della crisi. Ora non lo sono più.
La stessa lezione di mobilitazione si applica a qualsiasi azienda o altra organizzazione che si trovi ad affrontare una crisi: la normale attività deve essere sospesa dal team di gestione per sopravvivere a una crisi. E l’intera organizzazione deve essere in grado di rendersene conto. Così come gli investitori, i clienti e i fornitori, se si vuole mantenere la fiducia. E ricordate che deve esserci fiducia nella messaggistica. La fiducia non può essere attivata quando è necessaria. Deve essere guadagnata con una reputazione di affidabilità nel corso degli anni: dicendo la verità, mantenendo le promesse, agendo con integrità. Il mio consiglio è di costruire questa reputazione deliberatamente prima di averne bisogno.
Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, la Commissione d’inchiesta del Congresso degli Stati Uniti ha messo in guardia da quello che ha definito il paradosso dell’allerta. Troppo spesso gli investimenti in misure preventive vengono ritardati perché le priorità immediate sono più urgenti. Dopotutto, è più facile trovare ragioni per giustificare il ritardo, sapendo che, in caso di crisi, sarà più facile sostenere la necessità di un cambiamento. Ma quando la sfortuna o qualche evento scatenante fa esplodere la crisi, i problemi possono essere diventati così radicati da essere quasi irrisolvibili.
Le crisi peggiori da gestire sono quindi quelle che io definisco “a combustione lenta”. Il problema può essersi accumulato per anni senza essere riconosciuto. Ma alcune di queste crisi in attesa sono già sotto gli occhi di tutti, ma i governi e i vertici aziendali troppo spesso scelgono di ignorarle. Ascoltano ma non sentono. Tutti possiamo pensare a degli esempi. La caduta di Kabul in mano ai Talebani è un esempio che uso come caso di studio nel libro.
Spesso i responsabili hanno la sensazione assillante che si debba fare qualcosa, ma il momento, le circostanze e il budget non sono mai giusti, fino a quando non è troppo tardi e la crisi è arrivata, costringendo ad agire in fretta e furia, di solito a costi molto più elevati.
Ammettere l’esistenza di una crisi a combustione lenta significherebbe ammettere che la strategia, di cui i leader stessi sono responsabili, non sta dando i risultati desiderati. È difficile. Uno dei temi del mio libro è che questo diventa sempre più difficile per tutti noi nell’era dei social media. Coloro che devono prendere una decisione sono circondati da informazioni emotivamente manipolative, contraddittorie e talvolta deliberatamente false, provenienti da un numero sempre maggiore di fonti.
Ci sono quattro diversi tipi di informazioni che possono aiutarci. Nel mio libro uso l’acronimo SEES per ricordarle: è necessario avere consapevolezza situazionale (situational awareness), spiegazione (explanation), stima (estimation) e avviso strategico (strategic alert). Uno dei vantaggi di pensare in questi termini alle informazioni necessarie è che tendiamo a commettere errori piuttosto diversi per ciascuno dei quattro tipi di informazioni.
Aspettatevi errori cognitivi inconsci come il pregiudizio dell’ottimismo, il pregiudizio di conferma, il pensiero di gruppo, l’immagine speculare e la tendenza a perseverare, aggrappandoci a vecchie idee che riteniamo comode anche dopo che hanno superato la data di scadenza. Questi pregiudizi sono difficili da individuare in noi stessi: ecco perché il pensiero analitico dovrebbe essere uno sport di squadra.
La consapevolezza della situazione deriva dall’accesso ai dati su ciò che accade sul campo o nel cyberspazio. Questo aiuta a rispondere al tipo di domande fattuali che iniziano con “cosa, quando e dove?”. Idealmente, avremmo individuato con largo anticipo rispetto a possibili crisi le informazioni di cui avremmo bisogno per poter valutare in modo affidabile la situazione.
Ma vediamo nello specchietto retrovisore dove siamo stati, spesso con un notevole ritardo (basti pensare alle statistiche economiche nazionali), quando la situazione sul campo sarà già cambiata.
La nostra scelta di dove cercare le prove può distorcere il quadro che vediamo. Questo è il problema della bolla dei filtri di Internet. Troppo raramente cerchiamo informazioni che possano contraddire i nostri pregiudizi.
Così ci ritroviamo con informazioni non affidabili. La mia prima lezione di intelligenza è che la nostra conoscenza del mondo è sempre frammentaria, incompleta e talvolta sbagliata.
Ma ricordate che anche se avete stabilito fatti affidabili sulla situazione, i fatti sono di per sé muti, anche nell’odierno mondo dell’intelligenza artificiale.
Anche i fatti ben stabiliti sono suscettibili di molteplici interpretazioni. È così che gli avvocati difensori si guadagnano da vivere. Le impronte digitali dell’imputato sono state trovate su una bottiglia lanciata contro la polizia durante una manifestazione perché l’ha lanciata lui, come sostiene l’accusa in tribunale? Oppure si trattava solo della sua vecchia bottiglia di vino che la folla ha afferrato passando davanti al bidone della raccolta differenziata fuori casa sua, come l’avvocato della difesa cercherà di convincere la corte. Lo stesso fatto forense indiscusso dell’impronta digitale, ma due spiegazioni molto diverse.
La spiegazione è quindi il secondo tipo di informazioni necessarie per supportare decisioni valide, rispondendo accuratamente alle domande sul “perché, e come?”.
Questo è il difficile. Tutto ciò che possiamo fare è testare spiegazioni alternative con i dati. Scegliete, se potete, la spiegazione con meno prove a sfavore, non necessariamente quella con più prove a favore. Poiché, se si cerca bene, si possono sempre accumulare prove che sembrano sostenere un’argomentazione. È così che le cospirazioni prosperano. Ma dovrebbe bastare una sola prova contraria per dimostrare a chi ha la mente aperta che una spiegazione è inadeguata.
A proposito, attenzione a non passare direttamente dai fatti sul campo a pensare di sapere cosa accadrà in seguito, senza avere una spiegazione valida di ciò che sta accadendo. È come fare le previsioni del tempo guardando fuori dalla vedova, ricordando il tempo di ieri ed estrapolando quello di domani. Il più delle volte avrete ragione, ma quando vi sbagliate vi sbagliate di grosso, perché non avevate un modello dell’atmosfera che vi avvertisse dell’arrivo di un uragano.
Se si dispone di un modello esplicativo valido e di dati sufficienti, è possibile stimare come potrebbero andare le cose, ma solo se si fanno ipotesi sensate (e se le si chiarisce al decisore).
I disaccordi tra i professionisti che forniscono consulenza spesso si riducono a un disaccordo sulle ipotesi utilizzate nella loro modellizzazione. Lo abbiamo visto con le diverse stime dei casi di Covid-19, che dipendono da ipotesi diverse sul continuo allontanamento sociale e sull’ulteriore adozione del vaccino.
Ciò che ho descritto nelle prime tre lettere del mio acronimo SEES (situational awareness, explanation and estimation) è chiamato inferenza bayesiana, utilizzata per stimare come gli eventi potrebbero svolgersi nel prossimo futuro. Se si formulano ipotesi diverse, si otterranno stime diverse.
Infine, l’esperienza ci insegna anche che mentre siamo concentrati sulla preparazione di una decisione, arriva qualcosa di inaspettato. Esiste un quarto tipo di informazione che può aiutare a prendere una decisione. Si tratta di ottenere un preavviso strategico, l’ultima S del mio acronimo, SEES.
Possiamo lavorare non in avanti, partendo dal passato recente come ho appena descritto, ma indietro, dal futuro al presente. Possiamo immaginare possibili sviluppi a lungo termine che potrebbero influenzare la nostra decisione. L’avviso strategico aiuta a rispondere a domande importanti del tipo “come possiamo prepararci al meglio a ciò che potrebbe apparire in seguito?”, o anche “possiamo prevenire questo rischio in modo che non venga mai a metterci alla prova?”.
Se ci dedichiamo all’acquisizione di un preavviso strategico e lo usiamo, non dobbiamo essere così sorpresi dalla sorpresa stessa.
È certamente utile avere un preavviso di una crisi imminente. Ma un avvertimento non è un’informazione “piacevole da sapere” alla quale i ministri e i direttori generali potrebbero gentilmente rispondere “grazie per avermi tenuto informato”. L’intenzione di qualsiasi avvertimento è che l’azione segua l’avvertimento. Ma riflettete sul perché i leader spesso non dicono tutta la verità ai loro subordinati. Secondo la mia esperienza, i fattori che agiscono sono generalmente due.
Il primo fattore è il desiderio naturale di non ammettere i problemi, nella convinzione che possano essere risolti senza che il capo lo sappia.
Il secondo fattore è la mancanza di fiducia tra il leader e i suoi dirigenti. Alcuni leader irradiano ostilità nei confronti di opinioni diverse dalle loro e si pensa che siano in grado di punire chi ne parla. Questa è la mia spiegazione del perché il Presidente Putin non sia stato informato dall’FSB e dall’SVR delle reali condizioni in Ucraina, e che Zelensky avrebbe resistito, non sarebbe fuggito dal Paese. E quando il leader trama in segreto con pochi intimi, si crea un pensiero di gruppo e aumenta il rischio che il piano sia in contrasto con la realtà. Come vediamo in Russia.
Ma anche se un messaggio di avvertimento viene ricevuto e compreso, verranno intraprese le azioni giuste?
Per una buona decisione, nella testa del leader devono confluire due diverse qualità di pensiero, che coinvolgono diversi sistemi cerebrali.
Da un lato, abbiamo la capacità di valutare un’analisi spassionata, basata su prove, per dire “questa è la situazione reale”. Possiamo testare le spiegazioni rispetto ai dati e modellare diversi interventi, in modo da poter concludere “e questi sono i limiti pratici di ciò che possiamo fare”.
Dall’altro lato, abbiamo il sistema limbico, il sistema emotivo che ci dà convinzioni orientate ai valori: “questo è il modo in cui vedo il mondo e questo è ciò che voglio ottenere dalla mia decisione”, un’affermazione che scivola rapidamente in “e questo è ciò che devo ottenere dalla mia decisione” e quindi troppo spesso in un tweet per vantarsi di “e questo è ciò che otterrò dalla mia decisione”, con il passo successivo una conferenza stampa per annunciare un’altra politica inattuabile.
Per citare la formula rivoluzionaria del 1920 del rivoluzionario italiano Gramski: è necessario il pessimismo dell’intelletto; l’ottimismo della volontà. L’Ucraina è sopravvissuta all’assalto russo grazie alla capacità del Presidente Zelensky di dare voce alle sue appassionate ambizioni per il Paese – come Winston Churchill nel 1940 – ma non si sono lasciati trasportare dalle emozioni: conoscevano la realtà della situazione militare.
Entrambi i tipi di pensiero devono essere integrati nella mente di chi prende le decisioni, se si vuole che il risultato sia una decisione valida. Quindi, abbiamo bisogno di ottimismo, certamente. Ma affidarsi solo a pensieri velleitari, no. Questa è stata la trappola in cui sembrano essere caduti entrambi i primi ministri britannici Boris Johnson e Liz Truss. Affidarsi alla fortuna va bene se si gioca con i propri soldi.
“Anticipazione” è una buona parola da usare in questo caso. Anticipare un evento significa evocare nella mente un’immagine vivida di come sarebbe effettivamente se si verificasse. Anticipare un rischio grave significa immaginare in che guaio ci si troverebbe se si verificasse, non da ultimo per la reputazione dei responsabili del momento.
Nelle prime fasi della risposta immediata alla crisi, le priorità sono di solito semplici: salvare vite e beni. Ma gli obiettivi da garantire nelle fasi successive di una crisi grave richiedono un’analisi molto più approfondita. Ci saranno priorità contrastanti. I leader migliori interpretano queste situazioni complesse, dinamiche e ambigue e comunicano con semplicità a tutte le parti interessate ciò che deve essere fatto e perché.
Infine, vorrei ribadire il messaggio generale di resilienza del mio libro, ovvero come sopravvivere a una crisi. Non è necessario che ogni imprevisto nella nostra vita si trasformi in una crisi, a patto di averne previsto la possibilità. E non è necessario che ogni crisi si trasformi in un fallimento e in un disastro, a condizione che si sia investito a sufficienza nella resilienza personale, aziendale e nazionale. Questo dipende da noi.
Professor Sir David Omand GCB
Dipartimento di War Studies, King’s College di Londra
Si ringraziano l’Associazione per il Progresso del Paese e Robert Lingard