Ecco i fatti. Giuseppe Conte convoca una conferenza stampa in cui annuncia che vuole portare Giorgia Meloni davanti al giurì d’onore della Camera perché avrebbe detto «menzogne» sul Mes. Solo che è lo stesso Conte che più volte ha flirtato con le falsità. Sia da premier sia da capo del M5s.
Ma partiamo dalla cronaca. Dopo una due giorni di battibecchi tra Meloni e Elly Schlein, il leader stellato estrae il suo coniglio dal cilindro. Conte organizza una conferenza stampa a Montecitorio e sgancia la bomba, che in realtà è un ballon d’essai: «Giorgia Meloni si è presentata in Parlamento dicendo sul Mes un cumulo di falsità impressionante». Poi la notizia: «Ho appena consegnato al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, una richiesta di istituire un Giurì d’onore per la commissione speciale deputata ad accertare in questo caso le menzogne denigratorie del presidente del Consiglio». Una manovra mediatica per oscurare Schlein. Infatti Conte attacca la segretaria dem: «Mi auguro che Elly Schlein sia la federatrice delle correnti del Pd». Il leader del M5s, nel documento di due pagine in cui chiede al presidente della Camera Lorenzo Fontana di istituire il giurì d’onore, cita le parole pronunciate da Meloni in Aula sull’approvazione delle modifiche al Mes da parte del governo giallorosso, quindi accusa la premier «della dolosa volontà e della deliberata intenzione di disonorare il sottoscritto». Il leader del M5s si sente leso nella sua «personale onorabilità» e parla di «dolose menzogne». Poi pubblica un video sui social e incalza Meloni: «Io ho fatto tutti i passaggi in maniera trasparente. E tu invece sul Mes cosa farai?»
La verità, come spiega a Il Giornale un senatore esperto di procedure parlamentari, è che «Conte con il giurì d’onore al massimo può ottenere una sanzione reputazionale e politica, non giuridica». Insomma, nient’altro che un gioco di prestigio. Come quando il leader del M5s, rispondendo a Meloni sul Mes, l’ha accusata di aver fatto parte del quarto governo Berlusconi, che «nell’estate del 2011 ha portato l’Italia nel Mes». Falso. Il governo Berlusconi aveva partecipato all’inizio delle trattative europee, ma il documento istitutivo del Meccanismo fu firmato dal governo Monti nel 2012. Più gravi le contraddizioni di Conte durante la pandemia. A febbraio 2020 l’allora premier sosteneva: «L’Italia è un paese sicuro, forse più di tanti altri». Peccato che mancassero mascherine, tamponi, posti letto, camici, guanti e respiratori. E poi, cosa ne penserebbe un gran giurì sulla missione dell’esercito russo in Lombardia, secondo Conte volta solo ad aiutare il nostro Paese durante l’emergenza Covid, ma piena di lati oscuri e di dubbi su una potenziale raccolta di informazioni a fini di intelligence. Episodio menzionato dal leader di Azione Carlo Calenda, che attacca: «Se facciamo un gran giurì su tutte le c…. che ha raccontato Conte finiamo tra 14 anni». Non mancano ombre nemmeno sugli incontri, del 2019, a tema Russiagate tra l’allora procuratore generale Usa William Barr e i vertici dei servizi segreti italiani. Visite irrituali, che secondo diverse fonti sarebbero state autorizzate da Conte. Quindi gli ultimi scivoloni pacifisti. Conte protesta contro l’aumento delle spese militari, ma è stato lui ad aumentarle del 17% tra il 2018 e il 2021. Poi ha invitato Meloni a «non mandare più armi a Israele». Cosa mai accaduta dall’inizio della guerra a Gaza. Il picco delle esportazioni belliche verso Tel Aviv c’è stato invece proprio durante i due governi Conte. E questo è solo un elenco necessariamente parziale delle contraddizioni dell’avvocato di Volturara.