Dopo una durissima campagna elettorale, l’esito delle elezioni in Serbia (il Paese è andato ieri alle urne) sembra scontato per un appuntamento che la dirigenza di Belgrado, a cominciare dal presidente Aleksandar Vucic, ha trasformato in una sorta di referendum sul proprio operato e sulla politica del suo Partito del progresso serbo (Sns, conservatore).
La formazione di Vucic viene data largamente in testa con il 44,6% dei consensi dagli ultimi sondaggi che premiano la scelta del presidente e del nuovo leader dell’Sns Milos Vucevic di martellare sullo slogan del partito «La Serbia non deve fermarsi». Nell’indagine condotta dall’Istituto Ipsos infatti l’Sns viene dato largamente in testa, seguito a distanza dal movimento «La Serbia contro la violenza», principale cartello di opposizione tra i cui leader vi è il potente ex sindaco di Belgrado Dragan Djilas, accreditato del 23,6%. Terza forza risulta essere il Partito socialista serbo (Sps) del ministro degli Esteri Ivica Dacic, dato all’8,7%. Altre tre formazioni minori, schierate all’opposizione, supererebbero lo sbarramento del 3% previsto per l’ingresso nel parlamento unicamerale di 250 seggi.
L’affluenza alle urne è risultata alle 16 del 42,36%. Si tratta di un lieve aumento della partecipazione rispetto alle ultime parlamentari del 3 aprile 2022, quando alla stessa ora aveva votato il 41,56%. Nel voto dello scorso anno il dato finale sull’affluenza era stato del 58,6%. Anche i serbi del Kosovo si sono recati numerosi a votare nelle quattro località del sud della Serbia, dopo che le autorità di Pristina hanno negato loro di poter votare nei loro seggi di residenza. In serata la commissione elettorale ha respinto le denunce dell’opposizione su presunte gravi irregolarità registratesi durante le operazioni di voto.