“Non c’è fretta”. Patto di stabilità verso la fumata nera

"Non c'è fretta". Patto di stabilità verso la fumata nera

Il conto alla rovescia per l’accordo sul nuovo Patto di stabilità e crescita, il testo comunitario che detta le regole per la finanza pubblica degli Stati membri, si accorcia sempre più. La scadenza è per fine anno, ma c’è un Ecofin (riunione di tutti i ministri delle finanze) in programma per il 20 dicembre che è considerato decisivo. In verità le cose potrebbero non essere così. Le posizioni sono ancora molto distanti. E così in queste ore il quadro sta cambiando radicalmente.

Si parte proprio dall’Ecofin di mercoledì: la riunione è organizzata in videoconferenza. Un segnale interpretato dagli addetti ai lavori come indicativo di una scarsa volontà di chiudere l’intesa in quella occasione: come può essere che uno dei momenti più solenni e importanti per l’Unione Europea dei prossimi anni si svolga in videoconferenza, senza contatti diretti tra i protagonisti? Per questo sono ben pochi quelli che pensano a una svolta nella riunione del 20. D’altra parte uno che di cose europee se ne intende, come il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ieri lanciato un messaggio ben chiaro: «Se la Bce – ha detto, ospite della kermesse di Atreju – abbasserà finalmente i tassi, come chiediamo da mesi, anche questo potrebbe influire sul raggiungimento dell’accordo per il Patto di stabilità. Siccome non c’è fretta, noi riteniamo che si debba anche affrontare tutta la questione macroeconomica della politica finanziaria europea, guardando anche a tutti gli altri aspetti, penso all’armonizzazione fiscale, all’Unione bancaria e al mercato dei capitali». Un intervento in cui il passaggio chiave è quel «non c’è fretta». Che svela ciò che è ormai considerato il percorso più credibile: lo slittamento di un possibile accordo al 2024 con il ritorno in vigore del vecchio patto, attualmente sospeso dal 2020 in seguito alla pandemia.

Tecnicamente la questione potrebbe passare dal Consiglio europeo (in foto il presidente Charles Michel) che avrebbe il potere di prorogare l’attuale status. Ma la strada principale sarebbe un’altra: per rispettare la scadenza del 31 dicembre, in mancanza di un accordo, dal primo gennaio tornerebbe il vecchio patto. Che però, in ogni caso, resterebbe come «congelato» per alcuni mesi – di sicuro fin dopo le elezioni Europee del 9 giugno – in attesa della presentazione della Nadef 2025. Quindi a settembre: è lì che il patto «esercita» i suoi vincoli. Quindi ha ragione Tajani: «non c’è fretta». Il tempo per trovare una nuova intesa va ben oltre il 31 gennaio prossimo.

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