Siba Shakib è scrittrice, attivista, regista, documentarista. È nata e cresciuta a Teheran e ha vissuto a lungo in Afghanistan, oltre che in Germania, in Italia e a New York. Ha girato anche importanti documentari per raccontare la vita del popolo afghano e la condizione delle donne. Il suo ultimo libro, “Mille volte Gioia”, è stato pubblicato da Libreria Pienogiorno. “Gioia”, Shadi in lingua dari, è il significato del nome della protagonista. Shadi nel corso della sua esistenza affronta eventi drammatici e un destino infausto sotto il regime di terrore dei talebani. La madre prima di morire le chiede: “Promettimi che conserverai sempre la gioia che hai nel cuore”. Shadi proverà a mantenere l’impegno e la sua vita sarà ricca non solo di paura e smarrimento, ma anche di speranza e di sete di libertà.
La libertà è acqua passata in Afghanistan?
“Purtroppo le persone in Afghanistan sono abituate alle guerre, all’ingiustizia, a essere sfruttate dal proprio e da altri governi. Ovviamente è un errore spudorato e sconsiderato che 20 anni di successi e di creazione di relativa libertà siano stati traditi e distrutti in un batter d’occhio”.
Quand’è che siamo veramente liberi?
“Per quelli di noi che hanno l’opportunità di pensare, parlare e agire liberamente, è importante impegnarsi per la libertà ovunque e per chiunque. Per le persone che vivono in Afghanistan sotto il dominio dei talebani, la libertà ha una dimensione completamente diversa. Le donne devono lottare per poter andare a fare la spesa, non hanno la libertà di studiare e andare a scuola e all’università, di lavorare o viaggiare, e nemmeno di andare al parco… in altre parole: non hanno diritti fondamentali e devono combattere ogni giorno anche solo per sopravvivere. Io ho lottato per la libertà tutta la mia vita e non sono ancora veramente libera. Essere liberi è una lotta che dura tutta l’esistenza”.
In guerra ci sono solo sconfitti?
“Nessuna guerra ha vincitori. Ma come esseri umani siamo stupidi, siamo come gli animali e sembra che alcuni di noi debbano sempre dimostrare di essere più forti, più capaci rispetto ad altri. Putin è vittima della sua avidità. Erdogan è vittima dei suoi complessi. I talebani sono vittime della loro stupidità e della mancanza di esperienza e istruzione”.
In quale maniera la popolazione afghana considerava gli americani dopo la guerra seguita all’attentato alle Torri Gemelle?
“Gli afghani che sapevano che la presenza degli Stati Uniti e di altri 40 Paesi era l’unica possibilità per costruire una relativa democrazia e libertà, hanno fatto tutto il possibile per costruire una società civile nel loro paese. I talebani invece hanno fatto di tutto per scoraggiare gli americani, li hanno combattuti e volevano che lasciassero il Paese. 20 anni non sono tanti, ma soprattutto le donne e le ragazze in Afghanistan sono riuscite a crearsi una relativa libertà. Ma purtroppo la comunità internazionale non ha avuto abbastanza fiducia, qualcuno dice: non ha voluto!, la democrazia in Afghanistan e ancora una volta hanno lasciato da sola la gente”.
È un bene imporre i valori occidentali con la forza?
Nessuno voleva imporre nulla al popolo afghano. È uno stupido malinteso che non appena in qualsiasi parte del mondo qualcuno vuole essere libero, le persone pensano: ecco, vogliono uno stile di vita occidentale. La libertà e la democrazia non sono una prerogativa esclusiva degli europei e degli americani.
Lei scrive: “Una gioia condivisa è una gioia raddoppiata, un dolore condiviso è un dolore dimezzato”…
“Quando ci riuniamo con amici e familiari raccontiamo le nostre storie. Perché? Condividiamo con loro la gioia e il dolore. Le persone in Afghanistan da questo punto di vista sono come te e me”.
Lei ha vissuto in Iran, in Afghanistan, in Italia, in Germania e a New York. Cosa le hanno insegnato queste esperienze?
“Ognuno ha il diritto di essere diverso. Ma tutti abbiamo più o meno le stesse esigenze. Abbiamo bisogno di amore, gioia, di sentirci al sicuro, di cibo, desideriamo degli amici e una famiglia”.
Le donne in queste realtà lontane si assomigliano?
“In un modo o nell’altro siamo tutti persone di seconda classe con minori diritti rispetto agli uomini. E in ogni società ci sono donne che combattono per il diritto all’uguaglianza. Questa lotta ci rende tutte sorelle”.
Cosa si sente di consigliare oggi alle afghane?
“Le donne in Afghanistan sanno meglio di me cosa fare e come combattere. Ho imparato e sto imparando tantissimo da loro. Sono grandi e coraggiose e non hanno bisogno di un mio consiglio”.
È bene morire per la libertà come hanno fatto le giovani in Iran?
“Nessuno dovrebbe morire prima di essere vecchio. Ma a volte bisogna fare cose pericolose, anche a rischio di morire, perché altrimenti la vita non varrebbe la pena di essere vissuta”.
Qual è stato il suo ultimo atto di coraggio?
“Quando le persone fuggono dalla guerra, dalla povertà, dalla disuguaglianza di qualsiasi genere nel proprio paese e vengono in Europa o negli Stati Uniti, le cosiddette persone libere pensano: ok, ce l’hanno fatta, ora dovrebbero essere felici. La verità è che se devi lasciare il tuo luogo di nascita, la tua casa, il tuo paese, ti mancheranno sempre molte cose. La tua cultura, la tua lingua, la tua famiglia e i tuoi amici, l’aria che respiri e l’acqua che bevi. Anche se non ti piace tutto nel tuo paese, ci sono cose che ami. Ora immagina di dover partire, senza poter prendere le tue cose, pianificare il trasloco, comprare una casa nel nuovo posto dove andrai, portare la tua famiglia con te… e immagina che tu non possa mai più tornare. Questo è un destino molto triste!”
Cosa s’impara dal dolore?
“Se lo idealizziamo diremo: il dolore ci insegna sempre qualcosa in più! Ma a dire il vero mi sarebbe piaciuto vivere la mia vita soffrendo meno”.
Come si fa a conservare sempre la gioia nel cuore in un Paese come l’Afghanistan?
“Basta che ognuno guardi alla propria vita e veda quanto sia difficile uscire da una situazione triste o addirittura tragica. In Afghanistan la tristezza e la tragicità sono presenti durante l’intera vita delle persone. Non hanno grande scelta. O si arrendono o combattono”.