Emergono nuovi dettagli sulla morte dei tre ostaggi israeliani, uccisi per errore dai soldati delle Idf nel quartiere Shejaiya a Gaza City. Stando alle informazioni raccolte nelle fasi iniziali dell’inchiesta interna all’esercito dello Stato ebraico, i responsabili sarebbero due militari che hanno aperto il fuoco senza rispettare i protocolli e le regole di ingaggio.
Tutto sarebbe iniziando quando un soldato ha visto tre persone uscire da un edificio a decine di metri di distanza e dirigersi verso di lui. Pare che fossero a torso nudo e che uno di loro sventolasse una bandiera bianca improvvisata. L’uomo, pensando che si trattasse di una trappola di Hamas, ha aperto il fuoco urlando “terroristi” per allertare i compagni di squadra. Secondo le indagini, due degli ostaggi sono stati abbattuti, mentre il terzo è stato ferito ed è tornato al riparo dell’edificio. Sarebbe poi arrivato l’ordine di cessare il fuoco e i soldati nell’area avrebbero sentito una richiesta di aiuto in ebraico. Il sopravvissuto ai primi spari è uscito nuovamente dal suo rifugio, ma un altro soldato lo ha ucciso.
Un funzionario del Comando sud delle Idf ha sottolineato l’irregolarità del comportamento dei due militari, che non hanno rispettato i protocolli previsti in questa situazione. La stessa fonte, però, ha affermato di comprenderne il motivo: negli ultimi giorni, i militari israeliani non hanno incontrato civili palestinesi a Shejaiya e hanno eliminato quasi una quarantina di terroristi. Gli uomini di Hamas, inoltre, sono soliti attirare i militari dello Stato ebraico fingendosi non combattenti, per poi prendere le armi disseminate nelle case, sparare qualche colpo e fuggire. Le Idf hanno riferito anche di aver ucciso degli “attentatori suicidi” vestiti da civili. Una situazione, dunque, particolarmente provante per i nervi dei soldati, che corrono continuamente il rischio di finire vittime di imboscate.
Le vittime di quello che è stato definito “un tragico incidente” sono Yotam Haim, rapito a Kfar Aza durante gli attacchi del 7 ottobre, Samer Talalka, catturato a Nar Am, e un terzo ostaggio la cui famiglia ha chiesto che il nome non venga per il momento divulgato. Subito dopo lo scontro a fuoco, i loro corpi sono stati trasportati in Israele e identificati. La loro morte ha scatenato le proteste della popolazione a Tel Aviv. Centinaia di manifestanti hanno bloccato via Kaplan, una delle arterie principali della città, chiedendo un accorto immediato per la liberazione degli ostaggi ancora prigionieri nella Striscia al grido di “ora, ora”.