«Vi ringrazio per gli auguri di compleanno, ma non mi sarei mai sognato che dopo tutto questo tempo qualcuno si ricordasse ancora di me». Pak Doo-ik domenica spegnerà a Pyongyang ottanta candeline, il “boia” per eccellenza del calcio italiano è vivo e soprattutto ancora in buona salute. Ha voluto per Il Giornale, grazie all’aiuto della sua ambasciata nel nostro Paese, rievocare ciò che accadde in quel pomeriggio da canone inverso, quando i “Ridolini” rispedirono a casa gli azzurri in Coppa del Mondo.
Middlesbrough, 19 luglio 1966, luogo e data che rievocano uno degli incubi peggiori della storia del calcio italico. Persino chi non ha mai avuto confidenza col pallone conosce alla lettera ciò che accadde in quel giorno. L`Italia spocchiosa di Mondino Fabbri e il gol dell`odontotecnico Pak Doo-ik, professione inventata di sana pianta dai giornali dell`epoca, che del calciatore nordcoreano non sapevano nulla. «In realtà lavoravo in una tipografia e per me il pallone era solo un hobby», racconta. Ma la sua genuina passione generò la regina di tutte le umiliazioni sportive, innescando il mesto ritorno a casa tra una pioggia di pomodori all`aeroporto di Genova. Per quasi mezzo secolo Pak Doo-ik ha vestito i panni del boia. È acclarato che quel destro dalla distanza, quella sassata che sorprese Albertosi tra i pali e milioni di italiani davanti alla tv, partì dal suo piede. Ma è altrettanto indiscutibile che il vantaggio fu amministrato dall`eroica prestazione del portiere Ri Chan Myung. «È vero che il gol ha cambiato la mia vita, ma senza le prestazioni del nostro portiere l’Italia avrebbe pareggiato e anche vinto». L’estremo difensore nordcoreano, alto appena 167 cm, salvò infatti tre palle gol su Perani, Barison e Rivera.
Pak partì alla volta di Middlesbrough per vivere con i suoi compagni ogni sfumatura di un evento irripetibile. Talmente eccezionale che alla delegazione vennero aggregati quattro cineoperatori per immortalare la trasferta nella terra d`Albione. L`impatto non fu felice. «Eravamo intimoriti, soprattutto dai simboli religiosi nelle nostre camere da letto – ricorda – non riuscivamo a prendere sonno. Così chiedemmo la rimozione dei crocifissi dalle pareti delle stanze».
Il Mondiale dei coreani iniziò con uno 0-3 contro l’Unione Sovietica, ma gli asiatici ebbero un moto d`orgoglio inchiodando il Cile sull`1-1. La stampa parlò di un risultato miracoloso, di uno zuccherino in attesa di ingoiare il boccone amaro. Congettura rafforzata alla vigilia da un`infelice dichiarazione del ct Fabbri che con sfrontata audacia affermò: «A vederli giocare sembrano una comica di Ridolini». Tutto smentito dal fatale 41° minuto del primo tempo, quando Pak Doo-ik, leggermente defilato sulla destra, si avventò sulla palla fulminando Albertosi.
«Sono convinto che ci avete sottovalutati, non sapevate che potevamo giocare a quella velocità». La Corea del Nord aveva grande rispetto per l’Italia, «ma il nostro allenatore tirò un sospiro di sollievo scoprendo che non avrebbe giocato Meroni. Lui diceva che era una specie di brasiliano nato in Italia». Poco importa se la Corea del Nord, quattro giorni dopo a Liverpool, venne eliminata nei quarti di finale dall`incontenibile Portogallo di Eusebio. I giocatori vennero accolti in patria come eroi, ricevuti con gli onori del caso da Kim Il-sung, come se avessero vinto una guerra. «Non eravamo professionisti, ma le aziende per cui lavoravamo ci regalarono un mensilità in più di stipendio».
Nel 2003 Pak tornò con alcuni suoi compagni di squadra a Middlesbrough, alla ricerca di tracce e sensazioni di un pomeriggio di assoluta anarchia. L`Ayresome Park, lo stadio del delitto perfetto, venne demolito per costruire un complesso residenziale, ma le tracce del 19 luglio 1966 sono ancora ben visibili. Nel giardino di uno degli inquilini è stato sistemato un pallone in bronzo che simboleggia la partita della vita: l`impresa dei “ridolini” e il gol di un odontotecnico che odontotecnico non era.