Presidente Schifani, glielo diciamo in siciliano: amunì. Non si faccia accecare da questioni di contabilità finanziaria o di principio. Lei è politico di lungo corso e sa benissimo quando guardare la luna e quando il dito. Per questo, stupisce che, di fronte alla realizzazione del Ponte sullo Stretto – opera agognata da decenni e mai così vicina come adesso – lei si aggrappi come l’ultimo samurai a una questione di galateo minacciando un conflitto istituzionale per 300 milioni di euro di maggior esborso non preventivato da parte della sua Regione.
Non sono spiccioli, per carità. E nessuno mette in dubbio il fatto che magari sì, sicuramente avrebbe dovuto essere coinvolto maggiormente. Epperò non sia proprio lei l’anello di contrasto di una catena più volte arrugginita o bloccata sul nascere, soprattutto quando dopo cinquant’anni dalla costituzione della società Stretto di Messina, per la prima volta il progetto rientra a pieno titolo tra gli investimenti che un esecutivo vuole realizzare.
Nell’ottobre scorso una nota della Regione da lei guidata contemplava una partecipazione della Sicilia, con una quota del 10%, alla costruzione dell’infrastruttura, il cui costo è stimato in 12,5 miliardi. Se la matematica non è un’opinione, la quota della Trinacria sarebbe 1 miliardo e 250mila euro. Ieri, con un’altra nota, ha palesato una contraddizione di fondo che le riportiamo qui nero su bianco.
«Abbiamo sempre condiviso la strategicità di questa grande opera, essenziale per lo sviluppo del Mezzogiorno e di tutta l’Italia. Tanto da aver indirizzato ad ottobre al ministro Salvini una nota con la quale lo si informava che la giunta, all’unanimità, aveva deliberato di essere pronta a collaborare con un miliardo di euro di risorse Fsc. Occorre sempre una concertazione tra i vari livelli dello Stato, come prevede la Costituzione. Quindi mi auguro che questo fatto non si ripeta perché si aprirebbe un conflitto istituzionale che nessuno vuole».
Insomma, lei stesso, presidente Schifani (nella foto), ha ammesso che si tratta di un’opera strategica ed essenziale. E a ottobre la sua stessa Regione aveva messo in conto più o meno la stessa cifra. Ma al netto di tutto ciò, 300 milioni valgono bene una messa? I malpensanti dicono che il suo sia un gioco di forza per aspirare a nuovi ruoli o a nuovi scranni. Noi preferiamo pensare che si tratti soltanto di un’errata messa a fuoco sulla questione. Anche perché era lei che esattamente venti anni fa tuonava contro l’ostracismo di Prodi e del centrosinistra sul Ponte. Così come era sempre lei nel novembre 2022 a sostenere «l’attuazione di un progetto che, evidentemente, è sempre più strategico in una economia in cui la globalizzazione e la velocità del trasporto delle merci è sempre più essenziale per la crescita e lo sviluppo del Pil di ogni Paese». Esatto, presidente. La luna sono lo sviluppo, la costruzione del ponte sospeso più lungo del mondo, le strade, le ferrovie, l’Alta velocità, l’indotto e l’evoluzione di una terra martoriata da strade dissestate, da una sanità in crisi, da servizi malfunzionanti: tutte cose che purtroppo non si risolvono sollevando il dito dei 300 milioni di euro.