Il Senato accademico in esilio per minacce

Il Senato accademico in esilio per minacce

Sul finire dell’estate si dilettavano ad occupare la piazza antistante alla Statale di Milano per protestare contro il governo Meloni. Chiedevano una casa, loro che una casa l’avevano e che del pendolarismo sapevano poco e niente, se non per sentito dire.

Poi è arrivato l’autunno. E le proteste, come erano nate, sono evaporate. I sacchi a pelo sono stati riposti in cantina, pronti a tornar utili l’anno prossimo, e i tendisti si sono riciclati nei cortei contro Israele. In una escalation continua i collettivi studenteschi sono così arrivati all’ultimo sfregio alla democrazia: lunedì sera sono, infatti, riusciti con le proprie minacce a spaventare il Senato accademico e obbligarlo a riunirsi da remoto.

Già lo scorso 14 novembre avevano dimostrato di cosa erano capaci. Caschi e borracce contro le vetrate e poi pugni e calci fino a interrompere la seduta. Esigevano dal rettore della Statale una condanna del «genocidio in Palestina» e l’interruzione degli accordi che l’ateneo intrattiene con Israele. Due settimane dopo un nuovo assalto: avevano occupato un’aula per dar voce a Leila Khaled, la terrorista palestinese che negli anni ’70 dirottò due aerei.

Il Senato accademico dovrebbe essere un luogo di confronto e dialogo. Non per i collettivi rossi. La mancata seduta in presenza è l’ennesima resa a quattro disgraziati che si spacciano per studenti ma in realtà sono solo teppisti violenti che vogliono imporre le proprie idee a gli altri.

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