I delinquenti, la droga, l’ambizione. “Così sono diventato Achille Lauro”

I delinquenti, la droga, l'ambizione. "Così sono diventato Achille Lauro"

«Ho capito che non volevo fare la fine delle persone con le quali ero cresciuto». Con questa frase si capisce lo spirito di Ragazzi Madre – L’Iliade, il docufilm da oggi su Prime Video che mostra come Lauro De Marinis sia diventato Achille Lauro, una delle novità più sorprendenti dell’ultimo pop italiano. «Questo documentario chiude un cerchio e ne apre un altro», ha spiegato lui ieri nell’anteprima al cinema Anteo di Milano. Che cosa chiuda è abbastanza chiaro, che cosa apra ancora no ma fa lo stesso. Chiude la parabola di un ragazzo che a tredici anni ha lasciato la famiglia seguendo il fratello e passando sulle strade di droga, fame, delinquenza. Di spese fatte al supermercato «con un cestino sotto la cassa» per far passare prodotti senza pagarli. C’è un po’ di apologia nell’ora abbondante di Ragazzi madre, ma c’è anche la perdizione di chi si ritrova tra pregiudicati e vive in una «comune» con altri ragazzi che sono padri di loro stessi. È il confine tra il vuoto e il riscatto. Achille Lauro ha scelto la seconda e, come pochi fanno, ce l’ha fatta portandosi dietro i ragazzi della sua «crew» e diventando un idolo a geometria variabile. Prima trapper, ma per un attimo. Poi popstar, glam rocker, punk, sempre contro gli stereotipi proprio perché non c’è nulla di più noioso di rimanere ingabbiati in un cliché. «Hanno detto che dietro di me c’era una strategia di marketing, ma questo documentario chiarisce tutto». E la trama, ricamata dai commenti del suo amico Boss Doms e di altri produttori (c’è solo un cameo della mamma per qualche secondo), è quella che da decenni distingue chi riesce a farcela da chi no. Achille Lauro ha un modo di scrivere versi che è diverso dalle mode e subito riconoscibile. Avrebbe potuto accontentarsi dei confini della «nicchia». E invece è diventato un imprenditore di successo, non solo un artista sorprendente sul palco di Sanremo oppure su quello dello sfortunato Eurovision. In Ragazzi madre ci sono minuti e minuti inediti di dietro le quinte, dai primi concertini sbilenchi fino alla nascita di Rolls Royce (che lo ha lanciato al Festival) e al Palazzo delle Nazioni Unite dove questo ragazzone dallo sguardo malinconico ha parlato agli studenti di tutto il mondo. «Ho una visione tutta mia della vita, e naturalmente sono caduto varie volte. Ma il fallimento è alla base di tutto, cosa cui i ragazzi italiani non sono più abituati rispetto ad altri Paesi».

Lui sì, è sopravvissuto ai problemi con la famiglia, alla convivenza con «bambini con il cordone ombelicale ancora attaccato che mantengono padri delinquenti nei palazzoni di periferia», ed è anche riuscito a non farsi inglobare dal mainstream perché «non mi piace restare intrappolato nelle mode». Ora, mentre il suo brano Stupidi ragazzi passa in radio, si prepara a trascorrere sei mesi a Los Angeles «dove ci sono molte connection per fare musica nuova». Quindi niente Sanremo (meno male). «Inizia una fase legata alla mitologia dei grandi poemi», spiega un po’ sibillino alludendo quasi a un Achille Lauro che potrebbe diventare un Ulisse in viaggio sul mare della musica. Fa bene, tanto un approdo lo trova di sicuro.

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