Non solo Chiellini: 10 giocatori che hanno dato l’addio al calcio nel 2023

Non solo Chiellini: 10 giocatori che hanno dato l'addio al calcio nel 2023

La notizia, che peraltro ha sorpreso davvero pochi, del ritiro dell’ex bandiera della Juventus ci spinge a guardare indietro a questo 2023 che ha visto una serie di grandi campioni decidere che era arrivato il momento di appendere i proverbiali scarpini al chiodo. Se alcuni di loro hanno scritto pagine indimenticabili nel grande libro del calcio, altri, invece, se ne vanno con la scomoda etichetta degli eterni incompiuti. Ecco quindi il nostro elenco certo non esaustivo delle stelle dell’universo pallonaro che nel corso del 2023 hanno detto addio al gioco più bello al mondo.

1. Gianluigi Buffon

Da quando aveva abbandonato lo Stadium e la maglia della Vecchia Signora era un po’ sparito dai nostri radar, ma Gianluigi Buffon da Carrara non aveva ancora appeso i guantoni al chiodo. Era tornato a casa sua, in quel Parma che l’aveva visto debuttare in Serie A tanti anni fa, poco più che adolescente, per chiudere il cerchio di una carriera memorabile. Dopo vent’anni passati a contare i trofei in bacheca, prima tra tutti la coppa più bella di tutte, quella alzata al cielo azzurro sopra Berlino nel luglio 2006, perseguitato da qualche infortunio di troppo e dall’incalzare del tempo, ha deciso che poteva bastare anche così.

Certo non aver mai potuto afferrare l’agognata coppa dalle grandi orecchie gli avrà bruciato non poco ma, in fondo, non è nel suo stile lamentarsi troppo, a parte l’infelice uscita sui bidoni della spazzatura. Ci avremmo scommesso chissà cosa ma sarebbe stato fin troppo facile prevedere che Gigi se ne era andato dalla porta per rientrare dalla finestra. Il calcio senza Buffon sarebbe tutta un’altra cosa. La speranza è che, come successo a suo tempo per Gianluca Vialli, porti bene agli Azzurri e possa ancora festeggiare un’altra volta all’Olympiastadion.

2. Zlatan Ibrahimovic

A sentire lui, avrebbe continuato a fare miracoli in campo anno dopo anno, fregandosene delle regole, evidentemente valide solo per gli esseri umani normali. Zlatan era diverso, o almeno ce l’aveva fatto credere per vent’anni. Dopo aver trascinato con il suo esempio e la sua incrollabile fiducia nei propri mezzi il Diavolo allo scudetto più inatteso dai tempi di Zaccheroni ha provato a continuare a tenere in vita il sortilegio ma, alla fine, gli infortuni hanno costretto anche WonderIbra a mollare il colpo. Sul prato del Meazza, davanti al suo popolo adorante, aveva promesso che non era finita: c’è voluto qualche mese ma Zlatan sta per tornare.

Il mondo è più o meno diviso tra chi adora Ibra e chi lo detesta ma anche i detrattori più feroci non possono negare che abbia fatto cose che il 99,99% dei calciatori può solo sognare. Ha vinto dovunque, da quando si presentò all’Ajax da completo sconosciuto a quando tutti pensavano che avrebbe fallito alla Vecchia Signora. Zlatan si è divertito a smentire i suoi critici, prima con l’Inter, poi con Barcellona, Psg, Manchester United e LA Galaxy. Anche se i suoi trionfi più importanti li ha vissuti altrove, la sponda rossonera del Naviglio è sempre stata casa sua. Dopo aver segnato montagne di gol, avrà il compito poco invidiabile di riportare il Milan sul tetto d’Europa. Visti i trascorsi, niente è impossibile.

3. Cesc Fabregas

Qualcuno si era accorto che uno dei più grandi talenti dell’ultimo quarto di secolo aveva passato più di un anno in quel di Como, giocando ogni tanto per i lariani nella nostra Serie B? Magari la notizia vi è passata di mente ma il due volte campione d’Europa con le Furie Rosse, un giocatore che ha fatto cose col pallone difficili da credere, ha deciso che è il momento di passare dall’altra parte della barricata. Cesc Fabregas su quel ramo del lago si è trovato discretamente bene, tanto da prendere il timone del Como lo scorso 13 novembre, inanellando tre vittorie su quattro partite. Visto quanto ha vinto in carriera, la cosa non dovrebbe sorprendere nessuno.

Tra Arsenal, Chelsea e Barcellona, nove titoli ai quali vanno aggiunti i tre alzati con la maglia della Spagna, guidando una delle nazionali più forti di tutti i tempi. Una cosa l’accomuna con Buffon: anche lui non ha mai vinto la Champions ma in quanto al resto non si è fatto mancare quasi nulla. Niente male per un ragazzino che, da giovane, sognava di imitare le imprese del suo eroe Pep Guardiola. A giudicare da come sta giocando il suo Como, forse i paralleli non sono che all’inizio. I tifosi lariani lo sperano davvero. Il resto del mondo del calcio spera che questo straordinario playmaker trovi il modo di continuare a stupirci tutti anche in panchina.

4. Gareth Bale

Com’è possibile che quel talento assoluto che aveva stupito il mondo vestendo la maglia del Tottenham abbia passato così tanti anni nella penombra, languendo in panchina al Santiago Bernabeu? Quello che è da molti considerato il più grande calciatore gallese di tutti i tempi sembrava pronto a prendersi di prepotenza il palcoscenico, sfidando alla pari gente come Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. Dopo aver strappato uno stipendio faraonico ad un marpione come Florentino Perez, è semplicemente scomparso dal campo, concedendo ogni tanto qualche lampo di genio quando vestiva la maglia dei Dragoni. D’accordo, la sua permanenza al Real Madrid è stata costellata da infortuni ma la sensazione tra i fedelissimi delle Merengues è che, in fondo, fosse ben contento di incassare il suo lauto stipendio e passare le sue giornate a giocare a golf.

Per chi ama il calcio rimarrà uno dei più grandi rimpianti dell’ultimo quarto di secolo. Magari ce lo siamo dimenticato, ma quando era in giornata, Gareth Bale era capace di cose davvero straordinarie. Come avrebbe fatto l’anno dopo Giorgio Chiellini, si concesse un’ultima passerella in quel di Los Angeles, alzando al cielo il suo ultimo trofeo poco prima di ritirarsi. Considerato che aveva vinto cinque Champions League e una serie infinita di altri trofei, pur senza mai essere davvero protagonista, forse gli mancava la fame che aveva a White Hart Lane. Se glielo chiedete, forse, sarà più contento di aver portato tre volte il suo Galles ai mondiali.

5. David Silva

Per ogni calciatore attempato che si trascina sul campo ben oltre la sua data di scadenza, ci sono talenti assoluti la cui carriera è troncata dalla sfortuna o da un infortunio di troppo. La notizia sarà stata ignorata da troppi, visto che a fine luglio in Italia non si fa altro che parlare di calciomercato, ma è stato davvero un fulmine a ciel sereno. Visto quanto aveva fatto vedere con la maglia della Real Sociedad, David Silva aveva ancora parecchi anni al top davanti a sé. Chi non segue con regolarità il calcio inglese, forse, non si è reso conto di quel che il canario era in grado di fare su un campo di calcio. Vicente del Bosque, uno che lo conosceva discretamente, l’aveva definito il Messi spagnolo e la cosa non è così assurda come sembra a prima vista.

Prima di essere fermato dalla rottura del legamento crociato anteriore a soli 37 anni, El Mago è stato uno dei più grandi centrocampisti nella storia del calcio recente. Fattosi largo nella cantera del Valencia, il suo passaggio al Manchester City a 24 anni era passato quasi inosservato ma i tifosi degli Sky Blues si sarebbero resi conto di quel che era in grado di fare quel mancino rapido, dal primo tocco felpato, capace di saltare l’uomo e trovare sempre il modo di aprire una difesa. Il fatto che potesse giocare sulla fascia, da falso nueve o da seconda punta era solo la ciliegina sulla torta. Chissà, forse tra qualche tempo ci si renderà davvero conto della grandezza di questo talento davvero unico.

6. Mesut Özil

Ritirarsi a soli 35 anni dopo essere stato considerato per quasi tutta la sua vita uno dei giocatori più talentuosi di sempre sembra un modo triste per chiudere una carriera ma, forse, è stato l’unico modo nel quale si sarebbe potuto concludere il percorso sportivo del mercuriale nazionale tedesco. Da quando si fece notare nella sua Gelsenkirchen, riuscendo a farsi strada nelle giovanili dello Schalke 04 per poi rifiutare il primo contratto perché pensava di meritare più soldi, tutti si sono resi conto che Mesut Özil non sarebbe mai stato lontano dalle polemiche. Il fatto è che, quando era in campo, poteva davvero fare di tutto, tanto da diventare fondamentale prima nel Werder Brema e poi al Real Madrid, dove contribuì non poco all’allontanamento di un certo Kakà. Dopo una convivenza complicata con Mourinho e l’arrivo di Luka Modric, decise di lasciare la Casa Blanca per accasarsi all’Arsenal, alle prese con una siccità di titoli che durava dal trasferimento all’Emirates.

Fin dalla prima stagione nel nord di Londra, Özil avrebbe diviso profondamente la tifoseria dei Gunners, anche se pochi avrebbero messo in dubbio il suo talento. Doppiare la FA Cup con il trionfo al Maracanà contro l’Argentina sembrò lo zenit della sua carriera e, in effetti, le cose sarebbero andate più o meno così. Come altri talenti di quella Nationalmannschaft, niente sarebbe stato più lo stesso da quel giorno. Alla lunga anche il rapporto con l’Arsenal s’incrinò, portando al polemico addio e al trasferimento al Fenerbahce, dove sperava di tornare ai livelli di un tempo. Ad Istanbul, invece, arrivarono gli infortuni e, alla fine, il ritiro lo scorso 22 marzo, dopo aver vestito solo quattro volte la maglia del Basaksehir.

7. Diego Godin

Se provassi a descrivere in poche righe che razza di cagnaccio fosse Diego Godin prima dell’inevitabile declino, sembrerebbe una figura quasi mitica, un difensore che non avrebbe sfigurato nella difesa del Paròn Rocco. Godin, cresciuto nell’altra Rosario, quella in Uruguay, era un difensore vecchio stile, cresciuto col mito di Nasazzi e Obdulio Varela, erede della grande tradizione dei capitani della Celeste. Una volta vestita la maglia dell’Atlético Madrid di Diego Simeone, nessuno avrebbe più messo in dubbio che l’ex Villarreal appartiene a quella prestigiosa stirpe di condottieri del calcio. Il titolo del 2014 e la sfortunata finale di Champions furono il punto più alto della carriera di questo vero e proprio anacronismo. Non era particolarmente veloce o atletico ma quando si trattava di guidare una difesa, il centrale colchonero era uno tra i migliori al mondo.

Oltre alla sua leadership in campo, la calma che riusciva ad infondere al reparto, tutti ricorderanno a lungo la sua aggressività e la capacità di riuscire in qualche modo a battere di testa anche attaccanti molto più alti di lui. Nonostante fosse quasi imbattibile nell’uno contro uno, non era certo un manovale del calcio: aveva piedi abbastanza educati da consentire ripartenze fulminee. La cosa veramente triste è che in Italia l’abbiamo visto tardi, sia all’Inter che al Cagliari, quando il suo corpo iniziava a chiedere il conto della montagna di tackle e spallate rifilate agli avversari. Gli ultimi tristi anni tra Atletico Mineiro e Velez Sarsfield ce li siamo già dimenticati: dopo la Copa America del 2011, un posto all’Estadio Centenario se l’è guadagnato.

8. Fernando Llorente

Il lungo tramonto della sua carriera, finita con un comunicato stampa lo scorso 16 febbraio dopo la fine del contratto con l’Eibar, forse ha fatto dimenticare quanto fosse devastante nell’area piccola El Rey Leon. Il fatto di essere nato in una città un po’ fuori di testa come Pamplona probabilmente aveva avuto un certo effetto nel piccolo Fernando, fino a quando non riuscì a farsi strada al San Mamés con la maglia dell’Athletic Bilbao dopo aver iniziato in terza divisione con il Baskonia. Alla Catedral molti rimpiangono ancora la sua prepotenza atletica ed i 29 gol segnati tra campionato e coppe nella stagione 2011/12. I tifosi della Juventus impararono presto ad apprezzare la sua fisicità in area di rigore, la sua prepotenza nei colpi di testa, il fiuto per il gol in una delle squadre più vincenti della lunga storia bianconera.

Non andò tutto per il meglio, non fu il salvatore della patria che molti si aspettavano ma fece comunque il suo, come in tutta la sua carriera. Sarebbero seguiti anni meno memorabili tra Siviglia e Swansea, passati a fare la differenza nel finale, una sorta di moderno José Altafini, sia al Tottenham che al Napoli. Alla fine i troppi infortuni ebbero la meglio anche su una roccia come lui: le apparizioni divennero sempre più rare, sia all’ombra del Vesuvio che ad Udine. Rimane sempre la sensazione che avrebbe potuto fare ancora meglio ma, in fondo, finire con un mondiale, tre scudetti e due finali di Champions perse non è niente male.

9. Giuseppe Rossi

Quando ha annunciato che avrebbe appeso gli scarpini al chiodo, lo scorso 22 luglio, la sensazione dominante degli amanti del bel calcio fu il rimpianto per la carriera che Pepito Rossi avrebbe potuto fare se la Dea Bendata non gli fosse stata così ostile. Fin da quando iniziò a tirare i primi calci ad un pallone, a Teaneck, New Jersey, il futuro di Giuseppe sembrava già scritto. Da quando si trasferì a Parma a soli 12 anni, il suo talento fu talmente impressionante da convincere il Manchester United a comprare il suo contratto a 17 anni. Fu proprio all’Old Trafford che le cose iniziassero a complicarsi, con il talento italiano mandato in prestito prima a Newcastle poi al Parma: quando fu comprato dal Villarreal a 20 anni sembrò che la sua carriera fosse finita ancora prima di iniziare. Ci vollero tre anni ma alla fine riuscì a dimostrare quello che era in grado di fare: all’Estadio de la Ceramica si ricordano ancora i 32 gol tra campionato e coppa che valsero al Submarino Amarillo la qualificazione alla Champions e la semifinale di Europa League.

La fortuna voltò le spalle a Pepito il 26 ottobre 2011, quando si ruppe la prima volta il legamento crociato anteriore: Rossi non sarebbe più stato lo stesso. Un calvario infinito, fatto di fisioterapia, recuperi, rari periodi di buona forma nel quale sembrava tornato quello di una volta per poi venire di nuovo tradito dal suo fisico. Da Firenze a Vigo fino a Genova tutti gli appassionati hanno sognato che fosse davvero la volta buona, per venire purtroppo delusi dall’ennesimo problema fisico. Gli dei del calcio, a volte, sanno essere davvero crudeli e la loro determinazione nel rovinare quella che sarebbe potuta essere una carriera fantastica è uno dei più grandi rimpianti degli ultimi anni. Speriamo davvero che Pepito sappia trovare fuori dal calcio quella felicità che avrebbe potuto darci con le sue giocate.

10. Bojan Krkic

Quando si presentò al Camp Nou il 23 marzo di quest’anno per annunciare il suo ritiro dal calcio, a soli 32 anni, molti si chiesero se l’etichetta di “nuovo Messi” non abbia portato una rogna clamorosa a questo talento assoluto che non è mai stato in grado di trasformare in realtà le enormi aspettative che l’hanno sempre circondato. Dopo essersi fatto strada alla Masia, le stelle sembravano allineate per il giovane Bojan, fin da quando debuttò in prima squadra a 17 anni e 19 giorni, battendo il record di Messi. Dopo una prima stagione molto convincente, con 12 gol prima di compiere 18 anni e il titolo con l’under 17 spagnola, Bojan sembrava sulla rampa di lancio, pronto a diventare una vera e propria superstar. Le cose, purtroppo, non andarono affatto secondo i piani: trovare spazio in uno squadrone che ha gente come Messi ed Iniesta in campo non fu così semplice, tanto da convincerlo ad accettare la corte della Roma.

I due anni passati tra la capitale e il Milan furono abbastanza dimenticabili e qualcuno iniziò a sospettare che, forse, il “nuovo Messi” non sarebbe mai sbocciato. Da quel momento, le cose andarono di male in peggio: il ritorno e le tante panchine al Barça, la discreta stagione all’Ajax, gli anni passati allo Stoke City, gli infortuni, le mancate rinascite a Montreal e in Giappone, dove nemmeno con l’aiuto di Iniesta riuscì a fare la differenza. Questione di carattere? Sfortuna? Troppe aspettative? Chi può dirlo. L’unica cosa che è certa è che Bojan si è aggiunto alla lunga lista di talenti incredibili che, dopo aver stupito il mondo da adolescenti, si perdono per strada. Peccato, avrebbe potuto fare cose davvero incredibili.

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